Il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) dovrà riesaminare la domanda di rimpatrio di un cittadino svizzero ex combattente dello Stato islamico attualmente incarcerato in una prigione curda nel nord-est della Siria. Lo ha stabilito il Tribunale federale (TF), che ha così accolto un ricorso dell’uomo che teme per la propria vita viste le condizioni di detenzione, come si evince dalla sentenza pubblicata venerdì.
Si tratta di un trentenne che nel settembre 2022 aveva domandato al DFAE di adottare tutte le misure a disposizione della Confederazione per permettergli il rientro in Svizzera. Due mesi più tardi il DFAE aveva informato il legale dell’uomo che la Svizzera non offre sostegno attivo per il rimpatrio di viaggiatori adulti motivati dal terrorismo.
In seguito era stato presentato un ricorso al Tribunale amministrativo federale (TAF), che aveva però ricevuto una “non entrata in materia” essendo una questione di sicurezza nazionale e dunque di competenza del Consiglio federale. Ma ora la massima Corte federale ha spiegato che il caso non rientra nelle competenze esclusive del Governo e che doveva essere giudicato da un tribunale.
La questione non è pertanto solo politica, ma diventa giuridica. E il DFAE deve riesaminare il caso tenendo conto, specifica il TF, della situazione attuale in Siria. Situazione che è drasticamente cambiata nelle ultime settimane e che “richiede, se necessario, una nuova valutazione dei rischi per la vita e l’integrità fisica invocata dal ricorrente”. Una minaccia può eccezionalmente generare un diritto alla protezione consolare.
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Gli ex combattenti svizzeri e la strategia del Consiglio federale
Quello del trentenne non è un caso unico. Alle autorità elvetiche sono noti diversi cittadini svizzeri (donne, uomini o anche minori) detenuti nella parte nord-orientale della Siria sotto controllo curdo. Tra questi c’è anche una madre con la figlia, minorenne. La figlia potrebbe tornare in Svizzera, ma non la madre visto che il rimpatrio non è previsto per gli adulti.
Nella primavera del 2021 gli esperti dell’ONU avevano indirizzato una lettera a 57 Stati, fra cui anche la Svizzera, con cui chiedevano loro di rimpatriare i combattenti stranieri e le loro famiglie ancora detenuti in Siria.
Già nel 2019 la consigliera federale Viola Amherd aveva sottolineato che “la sicurezza dei nostri cittadini viene prima di tutto”, difendendo così la strategia del Governo che non prevede il rimpatrio attivo.
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Notiziario 27.12.2024, 14:00
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