Le persone affette da HIV godono ormai di una speranza di vita paragonabile alla media, a patto che seguano regolarmente le terapie prescritte. Una conferma è giunta nelle scorse settimane da uno studio statunitense che ha preso in esame un gruppo di pazienti nel periodo 1999-2017: si tratta di 83'000 persone, la cui mortalità è stata confrontata con quella di soggetti sani.
Le differenze maggiori riguardano coloro che hanno beneficiato di cure meno recenti. Per tutti gli altri - affermano i ricercatori dell'Università "Chapel Hill", in Carolina del Nord - il tasso di mortalità si discosta di pochi punti percentuali. "È sicuramente corretto, per la stragrande maggioranza delle persone, soprattutto in chi ha potuto beneficiare delle terapie più moderne che sono arrivate negli ultimi anni", conferma Enos Bernasconi, specialista in malattie infettive all'Ente ospedaliero ticinese.
La stessa tendenza si riscontra fra i pazienti svizzeri che beneficiano delle medesime terapie anti-retro-virali. ll calo della mortalità riflette dunque i progressi nei trattamenti, in particolare negli ultimi 10 anni. "Le prime terapie erano molto efficaci, ma anche molto difficili da assumere, con un numero elevato di pastiglie ed effetti collaterali", ricorda.
Oggi, prosegue Bernasconi, si tende a prescrivere immediatamente una terapia al momento della diagnosi di sieropositività. Lo si fa dal 2015, anno di pubblicazione di uno studio che l'esperto definisce "pietra miliare" nel trattamento dell'HIV. "Lo studio ha dimostrato chiaramente che iniziare la terapia antiretrovirale al momento della diagnosi dà un vantaggio netto rispetto ad aspettare un certo calo nell'immunità della persona", afferma.