Il 3 marzo 2002 il 54,6% dei cittadini vota a favore dell'adesione della Svizzera all'ONU, la necessaria maggioranza dei cantoni è raggiunta in modo risicato, 12 a 11, decisive sono poche centinaia di schede a Lucerna e in Vallese. Il risultato è il frutto di un'iniziativa popolare. Il sovrano si era già pronunciato una volta nel 1986 e aveva allora respinto chiaramente - 75,7% di "no" - la proposta avanzata da Governo e Parlamento.
Dopo un primo tentativo fallito, la Svizzera voto "sì" all'adesione nel 2002
A 20 anni di distanza,
il ruolo della Confederazione nelle Nazioni Unite torna al centro dell'attenzione. La ragione è la
candidatura elvetica a un seggio non permanente nel Consiglio di sicurezza, l'organo esecutivo dell'ONU.
RG 12.30 del 10.03.2022 La corrispondenza di Anna Riva
RSI Info 10.03.2022, 15:35
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È stata depositata già nel 2011 ma il voto dell'Assemblea generale a New York è previsto il 9 giugno e le possibilità di elezione sono ottime: sono vacanti due poltrone riservate a Paesi dell'Europa occidentale e ci sono al momento solo due candidati. L'altro è Malta. La candidatura rappresenta un obiettivo importante della Strategia di politica estera 2020-2023. Il mandato biennale inizierebbe nel gennaio 2023, dopo tre mesi in qualità di Paese osservatore.
La Svizzera al Consiglio di sicurezza?
Telegiornale 10.03.2022, 13:30
L'ambizione elvetica non suscita dibattito a livello internazionale, dove anzi è vista di buon occhio. Ci sono opinioni contrapposte invece in Svizzera, dove l'UDC ha cercato fin qui senza successo di indurre le autorità federali a invertire la rotta, in nome in particolare della neutralità armata della Confederazione iscritta nella Costituzione, che in questo momento ha assunto particolare rilevanza anche alla luce della guerra in Ucraina.
Ma quali sono gli argomenti a favore e quali quelli contro un'appartenenza della Svizzera al Consiglio di sicurezza? In 11 anni il mondo è cambiato, ha detto alla SonntagsZeitung Micheline Calmy-Rey. Guidava lei il DFAE quando la candidatura venne depositata e rimane convinta di questo passo. Del tema si è discusso anche nella puntata di oggi di Modem.
Micheline Calmy-Rey all'ONU nel 2011, l'anno in cui (con lei alla testa del DFAE) la Svizzera depose la sua candidatura
Gli argomenti a favore
"Nuove potenze sono emerse", i cambiamenti hanno condotto a "nuovi conflitti", mentre "gli Stati Uniti non sono più disposti ad assumere i costi del ruolo di leader mondiale. La loro priorità è la Cina". Di fronte all'erosione del multilateralismo, stando alla socialista ginevrina, c'è sempre più bisogno di Paesi che possano svolgere un ruolo di mediazione neutrale. "È una sfida e un'opportunità. Con una sana dose di realismo, ma anche la necessaria fiducia nelle nostre capacità, possiamo dare un contributo alla pace, alla giustizia e alla stabilità nel mondo" e assumere un ruolo di "costruttori di ponti", ha aggiunto Calmy-Rey intervistata da Swissinfo.
Frank Grütter ha presentato alla stampa i vantaggi della candidatura
L'ingresso nel Consiglio di sicurezza è compatibile con la neutralità e sarebbe persino vantaggioso per i buoni uffici, sostiene dal canto suo il capo della Divisione ONU del DFAE, Frank Grütter. Neutralità significa che la Svizzera non può partecipare ad atti di guerra o aderire a un'alleanza militare come la NATO, ha spiegato davanti ai media il 1° marzo, e in questo senso non ci sarebbero obblighi.
La bandiere dell'ONU e della Confederazione su Palazzo federale in occasione del 75mo delle Nazioni Unite
Il Consiglio di sicurezza non è parte in causa nei conflitti, prende decisioni, ma i membri non sono tenuti a partecipare alla loro applicazione (a rispettarle sì, ma questo vale anche per i non membri). La Svizzera non sarebbe quindi obbligata "a mandare truppe in un Paese in crisi". D'altro canto, anche uno Stato neutrale può opporsi a violazioni del diritto internazionale e il conflitto ucraino ha mostrato che "dobbiamo prendere posizione in un modo o nell'altro". La ripresa delle sanzioni contro la Russia ha spinto Mosca - lo ricordiamo - a mettere la Svizzera su una lista nera dei "Paesi ostili".
L'appartenenza al Consiglio di sicurezza rafforzerebbe il ruolo diplomatico della Confederazione - ha poi argomentato Grütter - perché le sue dichiarazioni avrebbero più peso e sarebbe più vicina ai dossier e a chi prende le decisioni. L'organizzazione in Svizzera di conferenze internazionali sarebbe più facile. Berna ha spiegato nelle sue motivazioni di candidatura che darebbe la priorità al rispetto del diritto internazionale e di quello umanitario, oltre che alla prevenzione dei conflitti. Lo slogan scelto è, non a caso, "A plus for peace" ("Un più per la pace", dove il simbolo matematico richiama anche la croce della bandiera).
Il Palais des Nations a Ginevra
La Ginevra internazionale
La "Ginevra internazionale" nasce nel 1920 con la Società delle Nazioni, figlia del Trattato di Versailles dopo la fine della Prima guerra mondiale. La Società, di cui la Svizzera faceva parte, ebbe vita breve: incapace di prevenire gli eventi che condussero alla Seconda guerra mondiale, venne sciolta al termine della stessa dopo la nascita dell'ONU. Da quest'ultima la Svizzera si mantenne per oltre 50 anni in disparte, ma questo non ha impedito a Ginevra di essere sede europea delle Nazioni Unite e di ospitare 36 organizzazioni internazionali (come l'OMS), circa 700 organizzazioni non governative e 180 rappresentanze diplomatiche. Un totale, secondo cifre del 2019, di quasi 34'000 persone. Inoltre Ginevra è rimasta centro importante per vertici internazionali, da ultimo quello dello scorso anno fra Joe Biden e Vladimir Putin.
Il Consiglio di sicurezza dell'ONU
Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite "ha la responsabilità del mantenimento della pace internazionale e della sicurezza" secondo la definizione che ne dà l'ONU stessa. Ha 15 membri (qui quelli attuali), 5 dei quali permanenti: Stati Uniti, Russia, Cina, Francia e Gran Bretagna, una composizione che riflette in larga misura gli equilibri emersi dalla Seconda guerra mondiale. L'Occidente e il Nord del mondo sono sovrarappresentati, grandi Stati come India o Brasile sono assenti. Gli altri 10 seggi vengono assegnati su base geografica per due anni, ogni anno se ne rinnovano 5. Una cinquantina di Paesi membri non ha mai fatto parte del Consiglio. L'adozione di una risoluzione richiede 9 voti a condizione che nessuno dei membri permanenti faccia uso del diritto di veto a difesa dei propri interessi o di quelli di alleati. Dagli anni '70 ad oggi, lo strumento è stato usato più di tutti da Washington, che se ne serve sistematicamente contro qualsiasi condanna dell'operato israeliano in Palestina. La Russia, la Francia e la Cina hanno esercitato con parsimonia questo potere, ma Mosca vi ricorre più spesso da una decina di anni riguardo ai conflitti che la vedono coinvolta (Georgia, Siria, Ucraina). Il Regno Unito, infine, lo ha fatto spesso ma soprattutto negli anni '60 e '70. Il diritto di veto, come la composizione del Consiglio, sono fra i temi centrali di una possibile riforma dell'organo. È in agenda da oltre 40 anni, senza risultati apprezzabili. Anche la Svizzera ha sostenuto la necessità di riforma e ha partecipato ai lavori.
Gli argomenti contrari
Anche fra i diplomatici, i più diretti interessati, i pareri non sono tuttavia unanimi. Secondo Paul Widmer, per esempio, la Confederazione sarebbe spesso costretta a scegliere da che parte stare. Se non dovesse farlo, il Consiglio di sicurezza ne risulterebbe ulteriormente indebolito, ma facendolo danneggerebbe il suo ruolo di mediatrice nei conflitti internazionali. Inoltre, rischierebbe di essere bersaglio di ritorsioni dirette o indirette, che potrebbero toccare gli scambi economici o i buoni uffici. La posizione della Ginevra internazionale, infine, lungi dall'uscire rafforzata rischierebbe di indebolirsi. Da ultimo, non è da escludere che anche l'operato umanitario del CICR, che ha sede in Svizzera, ne risulti ostacolato.
Jenö Staehelin è stato il primo ambasciatore svizzero all'ONU
Vede dei pericoli anche Jenö Staehelin, giurista basilese a lungo alle dipendenze del Dipartimento degli affari esteri, per anni prima dell'adesione osservatore per la Svizzera all'ONU e infine suo primo ambasciatore alle Nazioni Unite. Interpellato nel 2020 dalla Neue Zürcher Zeitung, sottolineava non solo il guadagno in termini di influenza, ma anche i rischi di diventare oggetto di pressioni da parte delle grandi potenze. Di fronte a possibili conseguenze economiche, la Svizzera sarebbe capace di difendere i propri principi?
Il Consiglio in riunione sulla questione ucraina