"Too big too fail" troppo grande per fallire è un’espressione che in Svizzera è diventata realtà il 16 ottobre del 2008. La crisi dei subprime americani aveva trascinato con sé l’intera finanza mondiale compresa UBS, che si era trovata ad un passo dal tracollo. Per evitare il fallimento della banca che avrebbe comportato gravi conseguenze per tutto il paese, BNS e Consiglio federale decisero di intervenire. A quell’epoca in Governo sedeva anche Pascal Couchepin. La sua testimonianza è stata raccolta dai colleghi di Modem, che nella sua puntata odierna ospiterà Fulvio Pelli, Alberto Petruzzella e Henri Peter, i quali, a partire dalle 8.20 su Rete Uno, ricorderanno gli eventi e ne trarranno lezioni e prospettive.
"Sono ricordi drammatici. Dapprima perché tutto era legato alla situazione personale del collega Merz, che era rimasto vittima di un attacco cardiaco. E poi perché si trattava di prendere rischi estremamente importanti in pochi giorni. E infine si doveva evitare che il dibattito diventasse pubblico ciò che, in caso di indiscrezioni in particolare, avrebbe generato il panico. Per finire abbiamo saputo gestire tutto questo e penso che quelle ore drammatiche siano state molto efficaci".
Molti oggi dicono: non ci sarebbe stato il salvataggio di UBS senza il grounding di Swissair. È vero? Lo choc del 2001 fu decisivo nella scelta del salvagente statale per la seconda banca del paese?
"Mah, penso che l’esperienza sfortunata di Swissair ha pesato dal punto di vista della capacità di agire. Abbiamo agito rapidamente e con molta discrezione, Ma gli attori erano differenti. Non credo che si possano legare i due eventi. Ma sì, credo che l’esperienza di Swissair in qualche modo sia stata utile a quelli che l’avevano vissuta".
Un imprenditore che sbaglia se ne assume le conseguenze, fino al fallimento. Il liberale che è in lei ha molto sofferto per questo massiccio aiuto pubblico?
"Sa, il liberale Couchepin è pragmatico. Si trattava di evitare che 300 mila imprese non avessero più accesso ai loro conti, che decine di migliaia di clienti non potessero più beneficiare dei servizi di questa banca. Un liberale non è un dogmatico, per principio. Quindi no. Non ho troppo sofferto da questo punto di vista".
Buona parte dell’opinione pubblica però non comprese: la politica salva il mondo dorato dei banchieri, si disse. Nel bilancio (politico in questo caso) di quel salvataggio bisogna mettere anche una certa diffidenza che da allora circonda il settore finanziario elvetico (da lì prese il via tutta la discussione sui bonus dei manager ad esempio)?
"Si certo lo sguardo dell’opinione pubblica da allora è diventato molto più diffidente, così come quello della politica. Ragione per cui abbiamo rinforzato le regole che si impongono alle banche, in materia di solvibilità ad esempio c’è stato un gito di vite a livello internazionale e in Svizzera in particolare. Le banche talvolta se ne lamentano, per me invece va bene così. Poi certo ci sono le assemblee degli azionisti che sono molto più critiche sulla questione delle remunerazioni dei manager. Però una cosa sono i salari che spettano all’economia privata, altra cosa è la stabilità del sistema finanziario che compete invece allo Stato".
Giuseppe Bucci