Partiti di sinistra e organizzazioni non governative avevano chiesto al Consiglio federale di lanciare un segnale, accogliendo almeno 10'000 afghani in fuga dopo la conquista del loro Paese da parte dei talebani, ultima a cadere la capitale Kabul. Così non è stato, una decisione che una parte dello scacchiere politico approva, mentre quella da cui erano partiti gli appelli è molto critica.
Mercoledì Ignazio Cassis e Karin Keller-Sutter si sono presentati davanti alla stampa per dire che non tocca a Berna procedere da sola a un reinsediamento: l'impegno della Confederazione è quello di far rientrare sani e salvi i cittadini elvetici ancora sul posto, una trentina, e di mettere al sicuro i dipendenti locali della Direzione dello sviluppo e della cooperazione con le loro famiglie, che ora rischiano rappresaglie: si tratta di 230 persone che beneficeranno di asilo e per le quali si sta già discutendo con città e cantoni, per trovare loro una sistemazione.
L'aiuto elvetico è più efficace sul posto, con forniture di alimentari e farmaci da distribuire a chi si è rifugiato nei Paesi vicini, concorda per esempio il capogruppo dell'UDC Thomas Aeschi. Anche l'Alleanza del centro pensa che la Svizzera non debba agire da sola, ma seguire le indicazioni dell'Alto commissariato dell'ONU per i rifugiati e partecipare se mai a un'iniziativa internazionale per ripartire i contingenti di profughi: "È troppo semplicistico dire 'prendiamo x persone': servono un progetto per loro e una ridistribuzione fra i cantoni", afferma Marco Romano, sicuro che "nei prossimi mesi la Svizzera non verrà meno ai suoi impegni".
In un videomessaggio, il presidente dei Verdi Balthasar Glättli critica invece il Governo: "Milioni di persone sono confrontati a un futuro incerto" e Canada e Gran Bretagna, ricorda, hanno già annunciato che accoglieranno 20'000 afghani. Stando all'ecologista, il minimo da fare sarebbe facilitare il ricongiungimento delle famiglie di coloro che sono già presenti in Svizzera, come si fece per i siriani nel 2013.
RG 08.00 del 19.08.2021 La corrispondenza di Lucia Mottini
RSI Info 19.08.2021, 09:50
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Fra quanti auspicano una maggiore apertura, c'è anche il Municipio di Ginevra: "Siamo in una situazione drammatica, la città che è la culla della Croce Rossa deve chiedere il visto umanitario per queste persone. Si tratta di salvare delle vite", ha affermato la sindaca Frédérique Perler, spiegando un appello inviato mercoledì a Berna. Ginevra, con altre città elvetiche, aveva già esortato il Consiglio federale a maggiore generosità lo scorso anno, dopo l'incendio nel campo profughi di Moria sull'isola greca di Lesbo.