Alain Berset oggi, mercoledì, ha annunciato che lascerà l’incarico a fine anno. Non ha subito pressioni, è stata una scelta personale, ha affermato. Per il ministro della sanità e attuale presidente della Confederazione si chiude così un lungo capitolo della sua vita politica. Si è raccontato in un’intervista ai microfoni della RSI.
Ha menzionato più motivi per spiegare la sua partenza, cosa ha pesato di più?
"Sono tutti elementi che segnano la fine di un ciclo e tutti nello stesso tempo. È interessante e sorprendente. Siamo alla fine del ciclo COVID-19, delle mie tre legislature e del mio secondo anno presidenziale. È tutto molto evidente. Sono inoltre convinto che a un certo punto, dopo aver dato tutto in ogni momento, è necessario che subentrino nuove forze. Infine, ha contato anche la mia situazione personale: ho 51 anni, non ho mai avuto un'attività così lunga, forse vorrei fare anche qualcos'altro".
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Fra tutti questi elementi, non vi sono le sue vicende personali, l'ultima delle quali è in corso di approfondimento da parte della Commissione della gestione, le fughe di notizie riprese dalla Ringier. Questo non ha influito sulla sua decisione di lasciare?
"No, non hanno avuto alcun peso. Lo dico francamente: lavoro a stretto contatto con le commissioni di vigilanza e durante la pandemia sono sorte moltissime critiche, talvolta brutali, che hanno dato vita a questo genere di approfondimenti. Ebbene sono sempre sfociate in nulla, a parte la conferma che tutto si è sempre svolto in maniera corretta. Ho sempre assicurato la mia piena collaborazione e mi rallegro di quanto uscirà anche questa volta".
Il momento più bello e il momento più difficile di questi suoi 12 anni in Governo
"Ahhh.. sono diversi i momenti che definirei "più belli". Sicuramente quelli dove ho incontrato la popolazione: in piazza, per strada, sul treno, durante i dibattiti. Adoro il contatto umano la gentilezza sociale inframezzata da qualche critica o qualche sostegno. Il momento più difficile, sul piano politico, è stata la bocciatura della Previdenza vecchiaia 2020, il 24 settembre 2017. Le confesso che è stato davvero difficile, ci eravamo impegnati molto. Però così è, bisogna rispettare il voto. E poi ci sono state le minacce, gli attacchi spesso brutali, disonesti, ingiusti durante la pandemia. Mai avrei immaginato, entrando in Consiglio federale, di dover subire queste situazioni. Probabilmente fa anche parte di un preciso momento storico, di una prova immensa (la gestione del COVID) per le Istituzioni e per tutto il Paese".
Lei è andato d'accordo con tutti? Un'ex consigliera federale diceva che il Consiglio Federale funziona meglio di quello che sembra, non è un club di amici...
"In Governo il contraddittorio è molto importante. È importante dibattere. Anche in modo acceso, sui contenuti. Se non lo si fa si rischia di diventare appunto un club dove non si osa dirsi le cose pur non essendo d'accordo. Ci vuole quindi una sana cultura del dibattito. Questa cultura non resta però sempre allo stesso livello. Talvolta va bene, altre volte meno bene. Si è meno bravi a dibattere, magari per questioni di fiducia o stanchezza. Il Consiglio federale, proprio per questi aspetti, è comunque vivo e bisogna impegnarsi affinché lo resti".
La sua decisione mette il suo partito, il PS, in una situazione particolare, lei ha discusso con i suo partito, si è fatto delle domande?
"È una mia decisione e come ogni decisione simile ha delle conseguenze politiche. Sono però considerazioni che non sono entrate in linea di conto quando per me si è trattato di scegliere. Quanto ho dato e quanto avrei ancora potuto dare al Paese: questi sono stati gli aspetti centrali. Avessi iniziato a fare riflessioni strategiche non avrei messo le istituzioni al primo posto, e non sarebbe accettabile. Ora è un momento un po' particolare. Ma altre domande sarebbero comunque sorte fra 2, 4, 6 anni. La cosa migliore è quindi fare astrazione da queste preoccupazioni".
E ora cosa farà?
"Non ho ancora avuto l'occasione di pormi questa domanda. Vede, quando si è completamente impegnati in un'attività non ci si domanda cosa si farà dopo. Prendiamo un'immagine sportiva. Questi 12 anni sono stati come una maratona. Al 40esimo chilometro non ci si chiede cosa si farà la settimana seguente ma si dà tutto, per correre al meglio i 2 km mancanti. Non ho quindi ancora riflettuto sul dopo".
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