La testimonianza
Un ritorno a casa difficile, complicato, ma riuscito. È la storia di una donna ucraina che vive da molto tempo in Ticino, sposata nel cantone, madre di due figli, che è andata in Ucraina proprio pochi giorni prima dello scoppio delle ostilità e per tornare a casa ci ha messo quasi una settimana.
“Mia moglie alle cinque del mattino mi chiama al telefono dicendomi che hanno iniziato a bombardare. Il piano era che tornasse con il volo del pomeriggio da Kiev a Zurigo, ma i voli civili sono stati cancellati – racconta a Falò il marito Massimo Calanchini, che in quel momento si trovava a casa, a Lugano - Ho chiamato subito l’ambasciata, che mi ha chiesto i dati di mia moglie”.
A parlare al telefono con il signor Calanchini è un funzionario da Berna, dal momento che l’ambasciata in Ucraina è stata chiusa alla luce della crisi in atto. La moglie, Wicky, si trovava a Sumy, una cittadina a nord est di Kiev, per stare vicino alla madre malata.
In attesa di una risposta, i giorni passano, e nessuno dei due riceve alcuna direttiva. Wicky, insieme alla madre, le nipotine e suo fratello, decide di iniziare a spostarsi verso il confine con la Moldavia in macchina, dove incontrerà suo marito.
Quando Massimo prova a richiamare l’ambasciata scopre che in realtà non era prevista nessuna evacuazione per gli svizzeri presenti sul territorio. “Non è stata organizzata nessuna evacuazione dall’Ucraina, è frustrante anche per noi, ma l’unica via possibile è muoversi con i propri mezzi”, gli spiegano.
Dopo quasi una settimana la coppia si riunisce al confine moldavo, per poi percorrere il lungo viaggio per tornare a casa, in Ticino.
Ucraina, la crisi umanitaria
Falò 12.03.2022, 12:00
Come può interviene l’ambasciata svizzera in Ucraina
"L’ambasciata svizzera a Kiev è temporaneamente chiusa - spiega il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) da noi contattata dopo il servizio di Falò - le persone con cittadinanza svizzera che hanno bisogno di assistenza possono rivolgersi alla helpline".
Secondo quanto riferisce il DFAE le persone presenti sul territorio ucraino sono state ripetutamente informate del deteriorarsi della situazione nel Paese. Dal 12 febbraio infatti, è stato segnalato il rischio di escalation. Il 14 febbraio, i consigli di viaggio hanno informato sulla possibile decisione delle compagnie aeree di ridurre o cancellare i loro voli verso l'Ucraina, invitando chi volesse lasciare il Paese ad usare i mezzi di trasporto commerciali disponibili.
Secondo la Legge federale concernente le persone e istituzioni svizzere all'estero, chiunque si prepara e svolge un soggiorno all’estero oppure esercita un’attività all’estero ne risponde in prima persona. "Un’operazione di rimpatrio organizzata dal DFAE non è al momento possibile, per ragioni di sicurezza - conclude il Dipartimento - la situazione è seguita da vicino, nella misura del possibile, per i cittadini svizzeri e le loro famiglie che hanno chiesto il suo aiuto, forniamo informazioni in merito a possibili corridoi o altri mezzi di evacuazione disponibili".
La raccomandazione del Dipartimento ai cittadini svizzeri che si trovano in Ucraina è di lasciare il Paese con i propri mezzi, se ciò appare possibile e sicuro. Altrimenti, si consiglia loro di rimanere in un luogo sicuro.
“Non ci si può fidare dei corridoi umanitari”
Un altro modo per fuggire dei punti caldi del conflitto, sono i corridoi umanitari. Fabio Tonacci, giornalista del quotidiano italiano la Repubblica inviato a Kiev, ospite a Falò, li ha definiti una vera e propria “roulette russa”.
“Non ci si può fidare dei corridoi umanitari, un corridoio per essere umanitario dev’essere sicuro, nel senso che bisogna lasciare veramente la possibilità alle persone di fuggire in sicurezza, ma questo non succede”, spiega Tonacci.
I corridoi umanitari di Kiev e Mariupol infatti passano in punti strategici dove si trovano anche i soldati ucraini. “Io non credo che i russi volessero sterminare una famiglia sul ponte mentre stava scappando, ma chi ha sparato in quel punto si è preso il rischio di uccidere chi non stava combattendo – continua l’inviato - Era noto a tutti che il ponte è l’unica via d’uscita per alcuni Paesi. Se colpisci lì al 90% uccidi un civile”.
Sono in molti ad aver paura di fuggire. “Gli anziani si nascondono nei bunker e non vogliono venire via, perché hanno paura di fare questi due, tre chilometri, scoperti per arrivare al ponte. Bisogna anche dire che da Kiev su tre milioni e mezzo di abitanti, la metà se n’è andata. C’è in corso un esodo che è epocale, che non si vedeva dai tempi della Seconda guerra mondiale”, conclude Tonacci.