"Swissmedic concede l'omologazione per il primo vaccino anti-Covid-19 in Svizzera". L'annuncio sembra risalire a un'altra era, quella in cui si aspettava con impazienza l'inizio delle somministrazioni che avrebbero dovuto liberare la Confederazione dalla paura del coronavirus che aveva già infettato 400'000 persone in Svizzera, con più di 18'000 ricoveri e quasi 7'000 morti. L'Istituto svizzero per gli agenti terapeutici è stata la prima autorità occidentale a autorizzare l'uso di un vaccino anti-Covid con procedura ordinaria.
In realtà da quell'annuncio sono passati solo 368 giorni. Era il 19 dicembre 2020. Il giorno che, per molti, ha significato la nascita di una nuova speranza, grazie alla somministrazione del primo preparato basato sulla nuova tecnologica a mRNA autorizzato dalla Confederazione: il Pfizer/BioNTech. Le due prime vaccinazioni, stando ai dati ufficiali dell'Ufficio federale della sanità pubblica, vennero fatte a Lucerna tre giorni dopo: esattamente il 22 dicembre di un anno fa. Il giorno dopo toccò anche alla 90enne, protagonista della foto simbolo (in testa all'articolo) dell'avvio della più grande operazione di vaccinazione della storia svizzera.
Poi le iniezioni cominciarono a crescere grazie all'arrivo della prima grossa fornitura: alcune decine di migliaia di dosi che permisero di dare avvio ufficialmente alla campagna vaccinale nazionale il 4 gennaio 2021, cominciando dalle persone più a rischio: gli immunosoppressi e gli ospiti delle case per anziani. Pochi giorni dopo Capodanno venne autorizzato anche il vaccino di Moderna e, pian piano, fornitura dopo fornitura, categoria dopo categoria, la vaccinazione anti-Covid è stata messa a disposizione di tutti gli interessati a farsi immunizzare. Il ritmo delle vaccinazioni è cresciuto, dapprima lentamente poi sempre più velocemente, fino all'estate.
Immunizzato oltre il 75% delle persone con più di 12 anni
Dal 22 dicembre 2020 è passato un anno. Allora si era nel pieno della seconda ondata, ora siamo nella quinta. In 12 mesi sono state somministrate all'incirca 13,3 milioni di dosi di vaccino con una media di 36'400 somministrazioni al giorno: 4,8 milioni di Comirnaty (Pfizer/BioNTech), quasi 8,5 milioni di Spikevax (Moderna) e oltre 50'000 di Janssen (il farmaco della Johnson & Johnson che mercoledì ha chiesto di autorizzare il richiamo). Il 67% della popolazione è completamente vaccinato (due dosi o una dopo la guarigione) e il 19% da inizio novembre ha ricevuto anche il richiamo. Altre 150'000 persone sono parzialmente vaccinate. In totale 6 milioni di persone (oltre il 75% della popolazione dai 12 anni in su) in Svizzera hanno aderito alla campagna vaccinale. I cantoni di Neuchâtel, Basilea Città, Basilea Campagna, Zurigo e il Ticino hanno oltre il 70% della popolazione vaccinata con almeno una dose. All'altro estremo, con una quota inferiore al 60%, ci sono: Svitto e Appenzello Interno.
Quasi 11'000 notifiche di reazioni avverse
Dall'inizio della campagna vaccinale, stando ai dati disponibili più recenti aggiornati al 14 dicembre, Swissmedic ha analizzato 10'842 notifiche di casi sospetti di reazioni avverse da medicamenti in correlazione temporale con una vaccinazione anti-Covid-19. Il 64% riguardava conseguenze ritenute non serie, mentre 3'927 casi seri. In 178 casi gravi le persone sono decedute a differenti intervalli di tempo dalla vaccinazione. Nonostante un'associazione temporale con la vaccinazione, per l'autorità centrale svizzera di omologazione e controllo per gli agenti terapeutici, “non vi sono in nessun caso indizi concreti che la causa del decesso sia stata la vaccinazione”. L'analisi delle notifiche conferma il “profilo rischi-benefici positivo dei vaccini anti-COVID-19 utilizzati in Svizzera”.
Si è visto e sentito di tutto
Sono stati dodici mesi durante i quali si è visto di tutto: dalla gioia di chi finalmente ha pensato di essere al sicuro, alle paure per gli effetti secondari; dalle critiche alla Confederazione per non aver autorizzato anche AstraZeneca, al sentimento di aver scampato un pericolo proprio per la mancata autorizzazione di AstraZeneca; dal biasimo per il ritardo rispetto alla Gran Bretagna, ai rimbrotti per un presunto eccesso di zelo; dai richiami ai produttori per la lentezza nelle forniture, al rischio di dover buttare le dosi in eccesso. Ma non solo. Si è passati dall'attesa spasmodica di potersi finalmente iscrivere alla vaccinazione, all'idea di dover premiare finanziariamente gli indecisi pronti a farsi vaccinare; dalla “spremitura” dei flaconi dei vaccini per ricavarne una dose in più, al biasimo per l'acquisto eccessivo di dosi; dall'accusa di favorire le multinazionali inoculando paura, al suggerimento di “fare come Israele” per avere un accesso più rapido ai preparati; dalle lunghe file di attesa ai centri vaccinali, all'arrivo dei mezzi mobili davanti alle scuole perché ai centri vaccinali non c'era più nessuno; dalla corsa al certificato (per taluni va bene anche falso), alla paura della diffusione dei dati nascosti nei codici QR. Ma si è passati anche: dal senso di liberazione, alla certezza che anche con due dosi non proteggono del tutto; dai viaggi in altri cantoni e all'estero pur di farsi inoculare, alle manifestazioni contro il vaccino; dai furbetti delle “vaccinazioni improprie”, agli accenni alla necessità di introdurre l'obbligo; dalle rassicurazioni sul fatto che il vaccino avrebbe protetto per almeno un anno, alla scoperta che un'efficacia del 97% vuol dire che qualcuno può ammalarsi gravissimamente anche se è già stato immunizzato. Si è visto e sentito di tutto.
Corsa al richiamo
"La Svizzera in ritardo con il booster"
Telegiornale 21.12.2021, 21:00
Di recente anche in Svizzera è arrivata la raccomandazione a vaccinare pure i bambini e a sottoporsi al richiamo a partire dai 16 anni. Il booster dovrebbe proteggere anche dalla variante Omicron. Israele, che in materia è considerato un modello internazionale, intanto però sta procedendo al richiamo del richiamo che, in altri termini, è la quarta iniezione. La prima, quella che doveva cambiare completamente le cose, è ormai un ricordo. Un ricordo risalente a un anno fa. Nel frattempo in Svizzera ci sono stati altri 800'000 contagi, altre 20'000 ospedalizzazioni e altri 4'000 decessi per Covid-19. Gli esperti assicurano: senza il vaccino sarebbero stati di più, molti, molti di più.
Quella dose misteriosa del 21 dicembre 2020
Guardando nel dettaglio l'enorme massa di dati ufficiali regolarmente aggiornati dall'Ufficio federale della sanità pubblica, risulta che la prima dose di vaccino in Svizzera sarebbe stata somministrata il 21 dicembre 2020 nel canton Vaud e che si sarebbe trattato del farmaco Johnson&Johnson. Un'indicazione che appare sotto più aspetti misteriosa, a cominciare dal fatto che il vaccino in questione è stato omologato in Svizzera solo tre mesi dopo (in quei giorni era alla terza fase dei test clinici). Tant'è che poi non è praticamente più stato somministrato fino all'ottobre 2021.
Abbiamo chiesto qualche spiegazione all'UFSP che non ce ne ha fornite. In sostanza, ci ha rinviato alle autorità sanitarie di Losanna poiché a Berna si occupano solo di riunire i dati trasmessi dai cantoni, responsabili della loro correttezza. Da parte sua il Dipartimento della salute e dell'azione sociale vodese ci ha assicurato che nel cantone non ci sono state somministrazioni prima del 29 dicembre quando sono state iniettate 5 dosi di vaccino Pfizer/BioNTech. "Si tratta dunque di un errore nella banca dati della Confederazione, un errore che risale a un anno fa (nel frattempo il cantone di Vaud ha iniettato più di 1 milione e 250'000 dosi di vaccino)".
Tra Confederazione e cantoni i conti non tornano
È un'altra delle molte anomalie, in parte già evidenziate nei mesi scorsi, riguardanti i dati diffusi dalla Confederazione tramite covid19.admin.ch dove, va detto, figura più volte l'avvertenza ad interpretare le cifre con cautela. Secondo le stesse, infatti, il 24 febbraio 2020 in Svizzera era stata accertata una sola e unica positività al coronavirus (quella di un 70enne emersa in Ticino), ma negli ospedali elvetici c'erano già 5 ricoverati per Covid. Inoltre i dati nazionali quasi mai corrispondono a quelli dei cantoni. Stando a Berna, per esempio, in Ticino finora i morti di Covid sarebbero stati 900, 137 in meno di quelli considerati dall'Ufficio del medico cantonale. La stessa cosa, con scarti più o meno grandi, vale per quasi tutte le altre cifre riguardanti la pandemia.