"1'600 casi di maltrattamento vuol dire 1'600 tragedie". Sono le parole del dottor Valdo Pezzoli, primario del Servizio di pediatria al Civico di Lugano, rilasciate alla RSI in merito ai dati sulle violenze sui bambini curate negli ospedali svizzeri. Per quello che concerne il Ticino, lo scorso anno sono stati trattati una cinquantina di casi: “In quelli gravi quasi non si vede una fine ad una specie di concatenamento di atti violenti, a volte fisici, altre volte psicologici, che un bambino continua a subire”, continua Pezzoli.
In questi ambiti diventa dunque importante raccontare: dire cosa si nasconde dietro quei 1'600 casi trattati in 21 dei 25 ospedali svizzeri che da otto anni raccolgono queste informazioni, compreso l’ospedale Civico di Lugano. Le cifre del canton Ticino, prosegue Pezzoli, “riflettono quelle nazionali. Abbiamo seguito lo scorso anno una cinquantina di casi, una cifra costante nel corso degli ultimi anni”.
Cosa si fa, dunque, quando vi è una diagnosi di violenza? “La segnalazione di un bambino maltrattato può avvenire in modi molto diversi, come per esempio dalla polizia, magari dopo un atto di violenza palese. Vi sono però bambini nei cui confronti c’è solo il sospetto che siano maltrattati. In Ticino, è presente il gruppo operativo GIMI (gruppo interdisciplinare maltrattamenti infantili) che in questi casi analizza la situazione”.
E a questo punto si cerca di capire cosa è successo per far scattare la rete di protezione. Ma cosa significa, concretamente, maltrattamento? “Per esempio – ci spiega ancora il primario del Servizio di pediatria – una sanzione all’interno di un nucleo familiare può avvenire in molti modi: in modo verbale, ma anche fisico, mediante una sberla o un colpo con la cinghia, per esempio. Ci sono tantissimi tipi di interazioni fra un adulto e un bambino. Noi chiamiamo maltrattamento qualcosa di ingiusto, di asimmetrico, un’azione durante la quale l’adulto esercita una violenza su una persona inerme”.
CSI/ludoC