I The Vad Vuc, gruppo Irish folk del Mendrisiotto dall'energia altamente contagiosa, compiono oggi 21 anni. Molto noti in Ticino, dove le loro ballate (e pogate) folk in italiano e dialetto sono ormai impresse nella memoria e nei cuori di tutti, hanno suonato anche nella Svizzera romanda e tedesca, nonché in Italia, Francia e Germania. Più di una decina gli album parte del loro repertorio, fra CD, EP e versioni live. Nel 2004, agli albori della loro carriera, ricevono il Kleiner Prix Walo a Zurigo, importante premio per gli artisti emergenti.
Raccontateci un po' com'è iniziata la vostra avventura nel mondo della musica.
"I The Vad Vuc sono nati il 25 dicembre del 2000 con una telefonata, una chiamata a raccolta ad alcuni amici, fatta da Cerno (cantante e autore della maggior parte dei brani della band). Il giorno seguente nella cantina di Miske (l'ex batterista) si tenne la prima approssimativa prova ufficiale dei The Vad Vuc".
In 20 anni ne avete fatta di strada, quali sono stati i momenti salienti? E i cambiamenti?
"Sono tantissimi i ricordi splendidi, i concerti, le trasferte, le notti insonni a scrivere i brani... e le amicizie, gli incontri e le collaborazioni nate in questi anni con alcuni autentici mostri sacri, come, tra gli altri, The Dubliners, Mauro Pagani, Francesco De Gregori, Simone Cristicchi, Steve Wickham (The Waterboys), Sharon Shannon, Les Mellino des Négresses Vertes, Gogol Bordello, Gnu Quartet, Frankie Hi-NRG MC, Gotthard, Mercanti di Liquore, Modena City Ramblers, Yo Yo Mundi, Dubioza Kolektiv, Marki Ramone, Davide Van De Sfroos, Bandabardò, Nanni Svampa, Gang e tanti altri. Per quanto riguarda i cambiamenti, chiaramente fanno parte anche questi del normale ciclo di trasformazione e di evoluzione di qualsiasi band. Alcuni membri storici hanno deciso di intraprendere strade diverse ma fortunatamente il gruppo si è via via completato con nuovi meravigliosi musicisti ed amici".
In qualità di gruppo musicale ticinese come considerate il panorama musicale svizzero? "Il panorama musicale svizzero è di assoluto livello e, cosa molto positiva, completamente eterogeneo. In questi anni, durante i nostri tanti concerti tenuti nella Svizzera Interna, abbiamo condiviso palchi e serate con moltissime realtà locali e nazionali e lo scambio è stato sempre prezioso ed assai interessante".
Avete scelto di cantare in italiano e dialetto, come mai? Questo vi ha aiutato a farvi conoscere al di fuori del Ticino?
"A dire il vero non c'è stato da scegliere nulla... il dialetto e l'italiano fanno parte del nostro DNA. Sono lo strumento che salvaguarda l'identità e sono al tempo stesso un patrimonio che deve essere difeso e diffuso. Ed è questo che ci piace particolarmente, come quando, ad esempio, ci troviamo a suonare in Svizzera Interna e scopriamo ogni volta un pubblico attento e curioso, che apprezza le nostre canzoni e si confronta con il nostro dialetto per una contaminazione che solo la musica riesce a regalare".
Quale canzone del vostro repertorio piace di più o potrebbe piacere maggiormente oltralpe? "Fortunatamente sono molte le canzoni che apprezza il nostro pubblico, da quelle più allegre e scanzonate, a quelle più impegnate e riflessive. Piacciono sempre molto i nostri vecchi cavalli di battaglia come "In fund al tavul", "Vaya con Dios", "Caro Dottore", "Do stell hotel", ma riscuotono sempre un ottimo riscontro anche brani più recenti come "Rendez-vous", "Bud e Terence", "A volte capita" e, ultimo in ordine di tempo, "Neri o bianchi che siano", che è stata scelta come Swiss Press Song 2021 in occasione degli Swiss Press Award".
Dove vi piacerebbe suonare in Svizzera Interna?
"Abbiamo già suonato molte volte in Svizzera Interna, sia romanda che tedesca, e ci siamo sempre trovati magnificamente. C'è una professionalità incredibile, questo anche nei contesti più piccoli, e veniamo sempre trattati in modo splendido... quindi non vediamo l'ora di tornare. Noi ci siamo".