Visto il ricorso in appello di tutte le parti, la sentenza non è ancora cresciuta in giudicato. Con questa motivazione la Corte d'appello ha respinto la richiesta del Consiglio di Stato ticinese di poter disporre della sentenza che lo scorso gennaio ha condannato a una pena pecuniaria per coazione sessuale un ex funzionario del Dipartimento sanità e socialità.
Era il 29 gennaio 2019 e quel giorno il giudice Marco Villa, durante la lettura della sentenza, si scusò a nome dello Stato con le tre vittime per quanto subito. Parole pesanti che gettarono nella polemica politica la parola "omertà" più volte rieccheggiata in aula durante il processo. Le interrogazioni non si fecero attendere. PPD, Lega e MPS avevano chiesto al Governo di verificare se all'interno dell'amministrazione qualcuno sapeva e non ha parlato. Nei giorni seguenti il Consiglio di Stato dichiarò che quando avrebbe ricevuto le motivazioni della sentenza, avrebbe avviato verifiche interne al Dipartimento.
Detto fatto, il 9 maggio la Sezione delle risorse umane ha chiesto l'accesso agli atti per "estendere le verifiche circa una presunta situazione di omertà all'interno del Dipartimento". La risposta della procuratrice pubblica Chiara Borelli e del legale delle vittime era stata positiva. Di parere opposto invece il difensore dell'ex funzionario, l'avvocato Niccolò Giovanettina, che si era opposto all'istanza perché la sentenza - alla luce degli appelli annunciati da tutte le parti coinvolte - non è cresciuta in giudicato.
Il Cantone quindi ha modificato la richiesta motivandola con la necessità da parte dello Stato di adottare eventuali provvedimenti a tutela dei dipendenti, visto che dalla sentenza potrebbero emergere degli indizi o degli elementi su aspetti che necessitano un intervento.
Nel frattempo però anche il Ministero pubblico si è associato alle osservazioni del legale del ex funzionario, ritenendo prematuro concedere l'accesso a una sentenza di primo grado non ancora cresciuta in giudicato.
Una tesi ripresa lo scorso 24 luglio dalla Corte di appello e revisione penale che ha respinto la richiesta del Cantone perché - si legge nella risposta - "non si comprende come una sentenza i cui accertamenti di fatto sono integralmente contestati possa essere uno strumento idoneo" per adottare misure a tutela dei dipendenti pubblici. Resta da capire se il Consiglio di Stato abbia inoltrato ricorso contro la decisione.