I risultati di uno studio condotto a livello svizzero ha evidenziato, fra le altre cose, che le aziende tendono a cercare profili che abbiano una certa continuità nel loro percorso professionale e una certa esperienza nel settore per cui si candidano. SEIDISERA ha allora sollecitato chi - in Ticino - con il progetto denominato Viamia, si occupa di aiutare i lavoratori over 40 - per fare il punto sulle loro competente e valorizzarle, per rendere più facile l’inserimento o il re-inserimento nel mondo del lavoro.
Un bilancio della propria situazione professionale e forse anche un poco di vita. Potenziale, obiettivi, desideri. Dall’altra parte, il mondo del lavoro in mutamento. Il Ticino, con una decina di altri cantoni, era stato fra i primi ad aderire alla fase sperimentale del progetto, voluto dal Consiglio federale, per rafforzare la impiegabilità delle persone. Il servizio, attivo dal 2021, è ormai ben consolidato e offre gratuitamente fra le 200 e le 250 consulenze professionali all’anno. A fornire il dato è Matteo Crivelli, orientatore professionale del DECS e responsabile di Viamia in Ticino. “La consulenza Viamia non si rivolge esclusivamente alle persone che sono in cerca di impiego, ma soprattutto alle persone che lavorano, per esempio, che sentono una necessità di cambiamento, così come le persone che magari cercano di reinserirsi nel mercato del lavoro dopo una pausa”.
A Matteo Crivelli abbiamo chiesto se quanto emerge dallo studio nazionale pubblicato nei giorni scorsi da un’azienda privata che si occupa di assunzioni rispecchi la realtà che si osserva in Ticino. Lo studio conclude che nel processo di reclutamento del personale i diplomi di formazione continua sono secondari o addirittura non hanno alcun impatto. Come dire non fanno Curriculum vitae. Determinanti sono invece esperienza, età e conoscenza delle lingue. “In una buona parte si ritrovano alcune conclusioni, nel senso che noi vediamo delle persone che ci chiedono un aiuto, un accompagnamento per valutare la propria situazione e le possibili prospettive lavorative. Sono persone che hanno già fatto diversi tentativi da sole e noi ci rendiamo conto che magari la ricerca di lavoro, ad esempio, che è stata fatta, è stata incentrata soprattutto sui diplomi in loro possesso piuttosto che su delle soft skills, ecc. E magari è stato dato poco valore a quello che è il profilo della persona e soprattutto al bagaglio di esperienza con competenze specifiche”.
Eppure di formazione continua si parla spesso durante le consulenze fornite. “Dal punto di vista dell’individuo l’importanza della formazione continua è molto forte”.
Ma c’è comunque uno scollamento fra la percezione che si ha sulla formazione continua e poi magari su quella che è poi la reale utilità. Voi che tipo di lavoro fate con queste persone? “Entriamo proprio all’interno di quelli che possono essere i contenuti delle formazioni che una persona ha seguito, ma anche dell’esperienza professionale. Spesso una persona che ha parecchi anni di esperienza lavorativa tende magari a non considerare così importante questo bagaglio di esperienza. Lo dà un po per scontato”.
Visto che il progetto Viamia si rivolge agli over quarantenni. Il fattore età quanto pesa realmente? “Preso singolarmente rischia di avere effettivamente un peso. Quindi il lavoro che viene fatto con le persone in consulenza è quello di aiutarle a dimostrare che gli anni anagrafici che sono passati equivalgono a un’acquisizione di competenze. Quella persona dobbiamo aiutarla a sviluppare degli obiettivi professionali che sono adatti al proprio profilo di persona con esperienza”.
E che impatto ha questo lavoro di presa di coscienza delle proprie risorse? “Ha un impatto molto importante sul livello di sicurezza in sé, di fiducia in sé e soprattutto sulla chiarezza. Ha un impatto forse non diretto, immediato, sul trovare lavoro, ma su tutte le strategie che la persona riesce a mettere in atto, proprio perché si sente di contare di più e di essere un buon lavoratore, una buona lavoratrice”.
Per lo studio a cui facevamo riferimento in Svizzera il reclutamento di personale resta però molto conservatore. Si parla addirittura di culto del settore da parte delle aziende, una rigidità che sembra frenare il riorientamento professionale. E allora come se ne esce? “Se ne esce cercando di capire più concretamente quali sono le mansioni che dovranno essere svolte in un determinato lavoro. Bisogna imparare a parlare un poco la stessa lingua delle aziende. In molti casi vediamo che le persone hanno un percorso professionale anche con diverse esperienze. Quindi qui la sfida sta nel lavoratore, nella lavoratrice, di capire come presentarsi a un datore di lavoro che altrimenti si baserebbe forse principalmente su quanti anni di esperienza ha questa persona in questa esatta funzione”.