È iniziato venerdì mattina a Lugano il processo nei confronti di Ulisse Albertalli, noto gestore di locali a luci rosse in Ticino, e di sua figlia. I due devono rispondere davanti alla Corte delle Assise criminali di usura aggravata – secondo l’accusa quantificabile in milioni di franchi – e promovimento della prostituzione. Entrambe rigettano però fermamente le accuse.
Ulisse Albertalli
Straniere bisognose
I reati, secondo il procuratore generale John Noseda, sono stati commessi dal 2010 al 2012 nel locale a luci rosse Oceano di Pazzallo, dove Albertalli, a quei tempi il gestore, e la figlia avrebbero sfruttato lo stato di bisogno di alcune straniere, affittando camere a prezzi "manifestamente sproporzionati", si legge sull’atto d’accusa. In media 45 donne al giorno, che al giorno pagavano la stanza fino a 180 franchi.
Accuse che Albertalli e la figlia negano in blocco. "Non sono un padre snaturato", ha affermato in aula l’imputato 69enne: "Non avrei mai fatto gabole (brogli)", ha aggiunto.
Una vita nei night club
Sollecitato dal giudice Amos Pagnamenta, Albertalli ha ripercorso la sua carriera di gestore di postriboli: prima l’apertura del Gabbiano – possibile, ha ricordato, grazie all’aiuto di Giuliano Bignasca –, poi nel 2000 l’omicidio di una prostituta lo ha spinto a vivere in Spagna per qualche anno, salvo poi rientrare in Ticino e iniziare appunto l’attività all’Oceano.
"Non sono un magnaccia: ho fatto il gestore", ha chiosato in aula: "I nostri prezzi erano al di sotto della media". Posizione, questa, ribadita anche dalla figlia.
Il dibattimento proseguirà nel pomeriggio, con le parole di accusa e difesa.
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