"Contesto le accuse perché non sono basate sui fatti e sulla mia attività svolta". La prima a respingere la tesi di aver aperto la strada alla pandemia dentro la Casa anziani di Sementina è stata la direttrice sanitaria che ha quindi contestato parte della ricostruzione dei singoli casi fatta dalla Procura. Sulla stessa linea difensiva si è posizionata la capostruttura.
Ha preso avvio mercoledì mattina il processo della Procura penale contro tre dipendenti, con compiti di responsabilità, accusati di avere, con vari gradi di colpa, favorito il diffondersi del coronavirus ai danni degli ospiti. Tra il 21 marzo 2020 e il 18 aprile 2020 almeno 39 anziani su un’ottantina si ammalarono. I decessi furono 22. Devono rispondere di ripetuta contravvenzione alla Legge federale sulla lotta contro le malattie trasmissibili dell’essere umano.
Con tre distinti decreti d’accusa la procuratrice pubblica Pamela Pedretti, affiancata in aula dal procuratore generale Andrea Pagani, chiede una multa di 8'000 franchi nei confronti della 47enne direttrice sanitaria; di 6'000 nei confronti del 58enne direttore del settore anziani della Città; di 4'000 nei confronti della 60enne capostruttura italiana, che oggi svolge un’altra attività.
La versione della direttrice sanitaria
Sotto l’ampio cappello di una mancata esecuzione dei provvedimenti presi a livello cantonale e federale, alla direttrice sanitaria (DS) il decreto contesta la libertà di movimento concessa all’interno della struttura a ospiti con sintomi influenzali. Ma anche il fatto che alcuni abbiano continuato a consumare pasti in comune.
In aula la DS, interrogata dalla giudice Orsetta Bernasconi Matti, ha contestato la propria responsabilità diretta nella gestione dei singoli pazienti citati nel decreto: "I rimproveri che mi sono mossi non possono essermi contestati, perché spesso io sono intervenuta solo in seconda battuta. Il primo referente spesso era il medico di famiglia". L’imputata ha cercato quindi di ricostruire la complessità dello stato di salute, spesso con sintomi già presenti, di alcuni ospiti citati nei decreti. Ha rivendicato di aver subito tamponato e isolato, quando interpellata, i pazienti. Ammettendo, ma anche allontanando da sé alcune colpe: "È stata un’ausiliaria di cure che per uno sbaglio ha accompagnato il signore al piano terra". E limitando l’evidenza di taluni sintomi: "Pazienti anziani possono avere disturbi digestivi, e anche vomito, dopo una cena pesante". E sugli stati febbrili: "Con una temperatura di 37,4 gli infermieri non informano il medico. Quando i pazienti hanno manifestato febbre la sera o durante la notte, dal momento che erano già in isolamento, il tampone veniva disposto il giorno seguente”.
Scintille con il procuratore generale Pagani
Il momento più acceso è stato quando la direttrice sanitaria ha citato più volte il ruolo avuto dai medici sanitari nella gestione dei casi. "È corretto – ha chiesto la procuratrice pubblica Pedretti – che da un determinato periodo i medici di famiglia non avevano più accesso alle case anziani?". "Non mi risulta - ha risposto l’imputata -. C’era una deroga per le urgenze concessa dallo Stato Maggiore di condotta". La procuratrice ha replicato, leggendo un verbale, in cui il direttore amministrativo afferma che "la gestione dei pazienti in quel periodo era affidata ai direttori sanitari", essendo di regola vietato l’accesso ai medici di famiglia. Ma la DS ha ribadito che "al medico di famiglia, contattato per un’urgenza, veniva accordato l’accesso. Ero io ad accordare gli accessi".
Sul tema l’imputata è stata incalzata dallo stesso PG Pagani: "Quando c’è un sintomo simil febbrile, per esempio di 37,5, siamo in un’urgenza?". Risposta: "Adesso sì, prima dell’epoca Covid, ovvero inizio febbraio 2020, no. L’anziano verso sera può fare delle febbriciattole”. Ma a che scopo, ha rilanciato il PG, "sottoporre un paziente a tampone all’interno della casa anziani? Visto che cure non ce n’erano”. L’imputata: "Non voglio rispondere, in ogni caso faccio presente che a fine febbraio le direttive partivano da una temperatura di 38 gradi".
È toccato quindi, attorno al mezzogiorno, alla capostruttura fare alcune precisazioni sulle situazioni in cui il medico non è stato avvisato: "Quando la sintomatologia era riconducibile ad una situazione pregressa, la persona veniva monitorata e solo successivamente veniva avvisato il medico". Quindi la lunga rassegna, non ancora conclusa, con le puntualizzazioni sui sintomi dei singoli pazienti.
A proposito delle analisi sugli ospiti la direttrice sanitaria ha precisato che: "Fino al 20 marzo il materiale per l’esecuzione dei tamponi non era di facile reperibilità. Non mancavano ma erano centellinati". Su questo, l’avvocato Luigi Mattei, uno dei tre difensori con gli avvocati Edy Salmina e Mario Postizzi, ha aggiunto: "Il 20 marzo il medico cantonale diceva di riservare i tamponi ai casi più gravi".
"Lei stava fuori, ma faceva entrare i pittori"
A ridosso delle 13.00 ha parlato anche il direttore del settore anziani della Città. Toccato in particolare il tema delle direttive: "Fino al 23 marzo ho fatto in presenza consegne settimanali alle singole quattro strutture. Mi assicuravo con le capostrutture che le prime misure, come il divieto di accesso dei famigliari, venissero rispettate e applicate uniformemente. Per me era importante una condivisione delle direttive. Non mi recavo giustamente nei reparti visto che c’era il divieto d’accesso". Una precisazione che ha fatto sussultare la giudice: "Lei non girava nei reparti, ma poi faceva entrare i pittori. Mi è uscita un po' così, ma ne parleremo dopo".
RG 12.30 del 23.11.2022 Il servizio di Francesca Calcagno
RSI Info 23.11.2022, 13:16
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Sementina, tre imputati a processo
Telegiornale 23.11.2022, 13:30