Un clima di paura e terrore. L’atto d’accusa firmato dalla procura definisce così lo stato in cui un 39enne kosovaro domiciliato nel Luganese avrebbe costretto a vivere, per anni, la sua famiglia.
Le violenze sulla moglie
Vittima principale la moglie, che tra il 2011 e il 2016 sarebbe stata ripetutamente violentata a suon di minacce, spesso precedute da sberle, pugni, calci e lanci di oggetti. Fino al 2018 l’uomo l’avrebbe inoltre tenuta segregata. Ogni volta che gli capitava di assentarsi – sostengono gli inquirenti – la chiudeva in casa. La donna poteva uscire solo per accompagnare le bambine a scuola e all’asilo. Sempre, comunque sia, sotto stretta sorveglianza. O veniva seguita dalla suocera, o il 39enne la teneva al telefono per tutta la durata del tragitto.
Quando era incinta della seconda figlia, le avrebbe addirittura impedito di andare dal ginecologo fino alla ventesima settimana, precludendole la possibilità di scegliere se portare o no a termine la gravidanza.
Le violenze sulle figlie
Il 39enne dovrà poi rispondere delle violenze fisiche e psicologiche che avrebbe inferto alle due minorenni. In più circostanze le avrebbe picchiate con pugni, pizzicotti, schiaffi e sculacciate. Il tutto in un silenzio imposto, ancora una volta, con pesanti minacce. Anche di morte.
I reati ipotizzati sono quelli di violenza carnale, sequestro di persona, coazione, lesioni semplici e violazione del dovere di assistenza o educazione. Per lui la procuratrice pubblica Pamela Pedretti chiederà una pena compresa tra i due e i cinque anni di carcere.
Accuse respinte
L’imputato, difeso da Yasar Ravi, respinge però ogni addebito: nessuna percossa, la moglie aveva la chiave di casa, i rapporti sessuali erano consenzienti. Il processo sarà dunque indiziario. Spetterà alla Corte, presieduta dal giudice Amos Pagnamenta, stabilire se e in che misura abbia effettivamente commesso i gravi fatti contestatigli.