Rete Uno, 8 gennaio, 08.00-10.00

Speciale Elvis Presley

Con Millevoci e Millestorie, nel giorno in cui avrebbe spento 90 candeline

  • 31 dicembre 2024, 10:29
Elvis Presley

Elvis Presley, 1964

  • Keystone
Di: Gian Luca Verga 

Speciale Elvis Presley

8 gennaio, dalle 10.00 alle 12.00 su Rete Uno

Se la sua parabola su questa terra non si fosse bruscamente interrotta nell’agosto del 1977, portandolo via a 42 anni, l’8 gennaio Elvis Presley spegnerebbe 90 candeline. Insieme ripercorreremo la carriera iconica di questo mito sul quale il sole non è mai tramontato. 8 gennaio dalle 10 alle 12 con Millevoci e Millestorie..

“Before Elvis, there was nothing”, disse John Lennon pennellando con un pensiero la figura straordinaria, epocale del re del rock’n’roll, icona globale e mistica la tra più fulgide del secondo ‘900. Nato l’8 gennaio del 1935 a Tupelo, trasferitosi con la famiglia a Memphis Aron Elvis Presley incarna come nessuno quel “sogno americano”, quello  che spesso non ha un lieto fine. Scomparso a soli 42 anni nella reggia o prigione dorata e trasformata in un santuario di Graceland, la seconda casa ancor oggi più visitata d’America (dopo la Casa Bianca) ancora meta di costanti e infiniti pellegrinaggi. Cibo spazzatura, abuso di medicine e alcol, eccessi contribuirono al collasso che se lo porto via una mattina di agosto del 1977. Ma il mito, il suo mito resiste, travalica il tempo e lo spazio. Perché al netto indubbie la rivoluzione che lo videro assoluto protagonista, la sua portata musicale, sociale e culturale rimangono inequivocabili. Certo, c’erano già allora musicisti più dotati ma erano “neri”, quindi confinati nel loro circuito, anche radiofonico. O quel Billie Haley aveva da poco inciso “Rock a round the clock”, considerato la prima incisione discografica del genere, ma povero lui, non aveva certo le “physique di role”. Elvis era un bianco che cantava come un nero e che nell’America bigotta delle leggi razziali crea un ponte tra le tradizioni musicali bianche e quelle nere: non si era mai visto e sentito nulla genere nell’alveo della musica popolare. Ma per lui la commistione tra i generi, bianchi o neri che fossero non contava, era naturale. Credeva infatti che proprio dall’ incontro tra country e rhythm’n’blues passando per il gospel la sua musica poteva trarne benefici. E in barba ai benpensanti! D’altronde era nato e cresciuto nella misera periferia di Tupelo, popolata tanto dai bianchi quanto dai “coloured”. La povertà e le privazioni accomunavano tutti, senza distinzioni. Inoltre, il giovane Elvis frequentando la chiesa evangelica cantava, anche gli spiritual. Non avendo pregiudizi razziali frequentava, cantava, assimilava le due culture musicali. Che si fondono nella sua voce, nel suo stile, nella sua musica, rivoluzionandola.

Ed è un artista che sul palco esprimeva per la prima volta sensualità e sessualità. Spesso vestito di pelle nera, ammiccando alle ragazze e roteando il bacino (“Elvis The Pelvis”) è l’uomo alla svolta dei tempi.  Provoca, con espliciti richiami alla sessualità, infiamma la platea dei giovani che per la prima volta nella storia si identificano in una musica che è tutta loro, che nulla ha a che spartire con i matusa delle generazioni precedenti. Finalmente hanno una musica tutta loro, nella quale identificarsi, e che parla anche di infrangere le regole dettate dal costume e dalla morale precedente. E che i giornali criticheranno al punto che sarà spedito per due anni in Germania. Elvis è un caso, per molti un nemico della nazione, “per il modo sconcio di suonare e ballare che corrompe la bella gioventù americana”.

Proprio lì, in Germania conosce Priscilla, lui 24 anni lei 14; si sposeranno dieci anni dopo divorziando nel 1973. Fu un matrimonio turbolento dal quale nacque l’unica figlia: Marie Luise, futura moglie di un altro re, quello del pop: Michael Jackson.

Dopo un’ascesa fulminante Elvis vive il proprio declino, trovandosi ai margini per alcuni anni. Infatti, il colonnello Parker, storico manager che ne ha sempre plasmato la carriera, lo indirizzo verso Hollywood, per farne attore di pellicole di scarsa qualità allontanandolo al contempo dai suoi esordi rock e dal suo pubblico. Fino al clamoroso ritorno nel 1968  quando Elvis, contro il parere di Parker, scelse di tornare alle sue origini con un leggendario concerto televisivo. Leggendario al pari di quell’evento che fu nel’73 “Aloha from Hawaii”, il primo evento musicale planetario della storia. Trasmesso in televisione fu diffuso da una quarantina di canali televisivi che raccolse oltre un miliardo di spettatori. Come sono oltre il miliardo i dischi venduti dal nostro! Ma il declino, quello definitivo è dietro l’angolo nonostante qualche ottimo album pubblicato Elvis iniziò a far uso massiccio di anfetamine e barbiturici per combattere lo stress e, a causa di un appannamento mentale e della paranoia, perse interesse verso la musica. Rifugiandosi al contempo nella sua dorata solitudine di Graceland si nutrì di cibo spazzatura, alcol e micidiali dosi di medicinali arrivando a pesare 160 chili. L’infarto che lo stroncò nell’agosto del ’77 era quindi inevitabile. Rimane comunque, ancora oggi Simbolo di libertà espressiva, di rottura con le convenzioni, di un’epoca in cui la musica divenne veicolo di cambiamento sociale e culturale. Il suo mito è lungi dall’appannarsi alimentato anche dai ricordi, dalla musica e dall’ affetto indiscusso dei milioni di persone e sono milioni e milioni, che lo hanno amato. Probabilmente quelli che secondo uno studio pubblicato pochi anni fa il 20% degli americani è convinto che il Re sia ancora vivo, e abbia inscenato la sua morte per fuggire da una vita di eccessi e pericolosa. D’altronde di “avvisamenti” in giro per il globo non ne mancano!

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