Risate, emozioni e storie di un passato che ci appartiene e definisce ancora oggi grazie a un protagonista indiscusso di dei nuovi incontri del sabato serai: il dialetto a teatro. E sarà Carla Norghauer, che abbiamo intervistato per l’occasione, ad accompagnarci in questo viaggio nella valle dei ricordi con un orecchio anche verso il futuro.
Che rapporto hai con il nostro dialetto?
Ho davvero un rapporto sincero e curioso, la scrittura resta ancora un grande mistero vista la difficoltà dell’esercizio ma per fortuna ho il numero di telefono di Franco Lurà che posso disturbare quasi quando voglio. Ultimamente lo abbiamo interpellato per l’aggettivo estivo… io avrei detto “estiv”, nvece non esiste, sa dis “d’estaa”.
Lo parli in famiglia?
Io sono la classica figlia di genitori dialettofoni che con me hanno sempre parlato in italiano. Quindi di base è stato il mio maestro professionale Bigio ad iniziarmi al dialetto, ma soprattutto a farmene scoprire le sfaccettature più interessanti e storiche. Ho un profondo amore per le nostre radici che passa inevitabilmente e squisitamente anche dal dialetto.
Hai momenti speciali legati ad esso, magari di quando eri piccola o come genitore?
La mia fortuna è stata sposare un sopracenerino (non l’ho sposato solo per il dialetto, eh!), da buona luganese sbroia riconosco che da noi si parla molto meno. In vent’anni di frequentazione, mia suocera in italiano mi ha sempre e solo detto “ciao”,tüt al rest in dialett e soprattutto ha sempre parlato rigorosamente in dialetto a nostro figlio e noi di conseguenza. E poi vuoi mettere come risulta più efficace sgridare in dialetto?
Che ricordi hai delle commedie dialettali, da sempre un classico della nostra offerta? Hai un’attrice e attore o una commedia preferiti?
In famiglia le commedie sono sempre state appuntamenti obbligatori e soprattutto molto piacevoli. Le ho sempre seguite anche in età più adulta quindi puoi immaginare come mi sono sentita la prima volta che ho incontrato Mariuccia Medici, Quirino Rossi, e Sandra Zanchi che mi faceva ridere appena appariva in scena. L’amicizia con Sergio Filippini, Yor Milano e Mariuccia sono stati grandi doni.
Molte famiglie sono cresciute con il dialetto, ma le ragazze e i ragazzi che oggi lo parlano sono sempre meno. Che futuro deve aspettarsi il dialetto secondo te? E nel campo televisivo?
Ho la netta sensazione che ci sia un certo ritorno al dialetto: lo vediamo ad esempio nei gruppi musicali come i Vad Vuc o prima ancora i Scarp da Tenis, nella pubblicità, negli slogan politici. Le e i giovani sembrano non essere indifferenti al fascino dialettale. Lo sento anche tra gli amici di nostro figlio, lui stesso spesso scrive messaggi in dialetto. Ecco, quindi, cosa dovremmo fare: farne di più! Dare giustamente spazio alle nuove compagnie come quella di Flavio Sala con una spettacolare Rosy Nervi, ma anche riproporre i grandi classici di Sergio Maspoli (che avrei tanto voluto conoscere) e Vittorio Barino. Sì, direi: tornemm a fa ropp in dialett.
La tua frase o il tuo motto preferito in dialetto?
Curigh adré ai patati fritt… ma mi sa che l’ho inventato io. Lunga vita al dialetto!