L’antico monastero Rabban Hermizd che affaccia sulla città di Al Qosh è una delle testimonianze della lunga storia dei cristiani in Iraq. Questo villaggio in pietra, circondato dalle montagne color avorio e costellato da croci, è uno dei più antichi centri del cristianesimo assiro–caldeo situato nell’Iraq settentrionale.
"Siamo la comunità più antica di questa regione che parla ancora aramaico", afferma Athra Kado, insegnante di siriaco e portavoce della milizia cristiana Niniveh Plan Protection Unit (Unità della piana di Niniveh - NPU). Dall’arrivo dei miliziani dell’autoproclamato Stato islamico (IS), più di 100’00 cristiani sono stati costretti alla fuga dalla piana di Niniveh.
Anche ad Al Qosh, durante l’estate del 2014, i cristiani sono scappati ma l’IS si è fermato pochi chilometri prima del villaggio. La milizia è nata a fine del 2014 con lo scopo di difendere la popolazione cristiana che abita qui. "Abbiamo perso la nostra terra, la nostra casa, non abbiamo nient’altro da perdere. E’ nostro diritto difenderci. Non vogliamo subire né la dominazione degli arabi, né dei curdi", prosegue il portavoce.
Sotto il cielo occupato dalla coalizione internazionale, l’esercito iracheno e le forze curde peshmerga stanno riconquistando numerosi territori in prossimità di Mosul ma accanto agli eserciti regolari vi sono numerose milizie – sciite, sunnite, yazide e cristiane – che partecipano all’offensiva. La NPU è una di queste. Il rischio è l’utilizzo di violenza settaria nei confronti della popolazione civile.
Una volta sconfitto il nemico comune – l’IS - si temono contrasti nella gestione del potere e nel controllo dei territori che saranno liberati. Il futuro di Mosul e dell’Iraq intero è ancora incerto.
Sara Manisera