La guerra in Ucraina si consuma in tutta evidenza anche sul terreno della disinformazione. Una via attraverso cui è possibile disorientare le opinioni, manipolarle e indurre così un gran numero di persone a conclusioni ingannevoli e distorte. Specie fra le maglie di una rete in cui la circolazione delle notizie, vere o false che siano, risulta non di rado incontrollata. Ad un'infinità di fake news siamo stati tutti confrontati durante i lunghi mesi della crisi pandemica. Sullo sfondo c'erano le polemiche sulle restrizioni, come pure il confronto, non di rado acceso, fra sostenitori e contestatori dei vaccini. Ma la guerra ha fatto emergere un ulteriore salto di qualità: con un proliferare di affermazioni e immagini, spesso difficili da smascherare, che suffragano l'idea di precise strategie per far leva sulla credulità e sul coinvolgimento emotivo rispetto agli eventi del conflitto.
Paula Gori, specialista in diritto e relazioni internazionali, è segretaria generale e coordinatrice dell'Osservatorio europeo dei media digitali
Le dimensioni del fenomeno sono ben note ad un'organizzazione che è stata istituita proprio per combatterlo: l'Osservatorio europeo dei media digitali (EDMO). Si tratta di una struttura finanziata dall'UE, ma che opera in maniera del tutto indipendente per mappare, sostenere e coordinare a livello europeo le attività di ricerca sulla disinformazione. EDMO, inoltre, si avvale di una piattaforma che fornisce informazioni e materiali con l'obiettivo di rafforzare la consapevolezza sulla disinformazione che circola sul web. Più in generale l'approccio alla problematica è di tipo multidisciplinare e si articola attraverso degli hub, presenti in ogni Paese dell'Unione, che operano sul territorio in modo da individuare le attività di disinformazione. Vanno quindi considerate le varie declinazioni del fenomeno: "Sappiamo che può avere incentivi differenti: possono essere economici, politici, sociali. E sappiamo che sono molti gli attori coinvolti", sottolinea su questo punto Paula Gori, che dell'Osservatorio è l'attuale segretaria generale e coordinatrice.
Dinamiche della disinformazione
Quali sono gli aspetti più interessanti che emergono, in questi giorni, dai monitoraggi dell'EDMO? In genere si può avere l'impressione che sia sempre la guerra in Ucraina ad occupare maggiormente i flussi di disinformazione. Ma le cose, almeno attualmente, non stanno in questi termini: al momento infatti, spiega l'esperta, "la disinformazione sulla guerra, quella sui vaccini e quella sul cambiamento climatico sono più meno sulle stesse percentuali", comprese fra l'11% e il 14%. Ciò è da ricondurre alla cosiddetta fatigue: cioé al fatto che alla lunga "le narrative sono sempre le stesse e probabilmente anche le segnalazioni". Ad ogni modo, sottolinea Gori, una narrazione dei fatti costante fa chiaramente parte di una strategia: quella finalizzata a "ripetere la stessa forma di disinformazione proprio per instillare un dubbio nelle nostre teste".
Anche i contenuti di disinformazione che diventano virali possono essere "monetizzati" attraverso i social network
Le ragioni politiche che stanno dietro la disinformazione sono in genere facilmente intuibili. Meno note al grande pubblico sono invece motivazioni di natura economica, che hanno però spesso un'incidenza precisa. Ma come si esplicitano? La premessa da fare è che un contenuto che diventa virale su un social network dà l'opportunità, a chi lo diffonde, di "monetizzarlo" sul web. Le agenzie di advertising pagano le piattaforme per avere spazi pubblicitari. E in questo ambito un contenuto che diviene virale può chiaramente rappresentare uno spazio interessante. Ci sono quindi soggetti che conoscono tale meccanismo e che lo sfruttano per diffondere disinformazione, cercando magari di propagarla "in quei gruppi più polarizzati dove sanno che il contenuto poi condiviso può diventare virale". Si tratta "di un elemento di cui ci occupiamo molto", rileva la coordinatrice dell'Osservatorio, precisando che l'UE ha impostato una strategia volta a contrastare il fenomeno anche in collaborazione con le agenzie di advertising.
Nella spirale delle fake-news
Sul sito di EDMO è disponibile un database che comprende tutti gli elementi di disinformazione finora individuati, nei Paesi membri dell'UE, in relazione alla guerra in Ucraina. Ma quali sono stati, finora, gli esempi più eclatanti? Fra le varie falsità in rete spicca ancora quella su bambini polacchi ricoverati in un ospedale oncologico, e poi mandati a casa per far posto a rifugiati ucraini: una notizia ovviamente priva di qualsiasi fondamento, come evidenziato da più verifiche. "Qui si vede quanto si cerchi di giocare sull'emotività delle persone", commenta Paula Gori, sottolineando il cinico sfruttamento di un'immagine così forte come quella di bambini affetti da cancro.
La sepoltura di un uomo ucciso dai russi nella località di Bucha, a nord-ovest di Kiev. Mesi fa i fact-checkers hanno sventato un tentativo, attraverso un video, di negare l'evidenza della strage, perpetrata lo scorso marzo
Il campionario della disinformazione comprende poi altri esempi destinati a far riflettere: dalla notizia su "soldi pubblici tedeschi investiti nel ristrutturare alberghi a Mallorca, per accogliere rifugiati ucraini", fino al video con cui si pretendeva di smentire l'evidenza della strage di Bucha, attraverso le immagini di un cadavere a terra che sembrava muovere un braccio."Tutti i vari fact-checker e anche gli esperti di video hanno poi dimostrato", ricorda Gori, che si trattava in realtà di un effetto ottico prodotto "da una goccia d'acqua su uno specchietto" retrovisore. E in tal modo, ricordiamo, vennero smontati tentativi di qualificare il massacro, perpetrato lo scorso marzo, come una messinscena.
Fin qui, alcuni esempi di fake-news di marca russa, potremmo dire. Ma all'analisi dell'Osservatorio non sono sfuggiti casi di disinformazione riconducibili anche all'Ucraina. La coordinatrice di EDMO cita in questo senso una notizia circolata su "una bambina colpita da una bomba, mentre cantava l'inno ucraino": un altro tentativo di disinformazione, che naturalmente non ha retto alle successive verifiche.
C'è poi tutta una serie di espedienti che vengono sfruttati per ammantare di verosimiglianza le fake news sulla guerra. Uno, ad esempio, si basa sull'uso fuorviante di citazioni: se ne estrapola una, fatta da un determinato politico, per poi ascriverla al conflitto e collocarla, in tal modo, totalmente fuori contesto. In evidenza è anche l'uso di fotografie e video su eventi bellici avvenuti altrove, che vengono però ripresi e attribuiti al conflitto in atto: una tecnica, segnala Paula Gori, all'origine di tantissime immagini su bombardamenti e devastazioni circolate soprattutto all'inizio della guerra. Ma un altro espediente ormai molto usato è quello delle traduzioni alterate: "Dato che molti eventi internazionali, come le riunioni della NATO, si tengono in inglese, viene poi fatta una traduzione completamente sbagliata", speculando così sul fatto che non tutti conoscono l'inglese o si prendono la briga di ascoltare le versioni originali.
Sul portale dell'Osservatorio è disponibile un database con aggiornamenti sui flussi di disinformazione individuati nei Paesi membri dell'UE
Tornando al ruolo delle immagini nel conflitto, si registra ormai da qualche tempo una certa diffusione di video ripresi da bodycam in dotazione ai combattenti. Ma in che misura questi video, che hanno un impatto decisamente più forte rispetto a testi scritti, potrebbero risultare utili a tentativi di disinformazione? "Il rischio, ahimè, è concreto", osserva la coordinatrice di EDMO, sottolineando la possibilità che vengano utilizzati sia nel quadro della guerra in Ucraina, che per conflitti successivi. Va inoltre considerato il rischio di manipolazioni: tanto più che "gli strumenti per fare modifiche su immagini e video sono ancora abbastanza semplici e accessibili a tutti".
Quale regia dietro alla disinformazione?
La proliferazione di fake news sulla guerra continua, per le sue dimensioni, ad alimentare il sospetto di una vera e propria regia da parte di apparati di Stato. "Oggigiorno la disinformazione fa parte spesso delle strategie ampie di guerra", rileva in proposito l'esperta, aggiungendo che non a caso si parla in questo senso di 'guerre ibride'.
Gli impressionanti bombardamenti su Kiev, con cui iniziò un anno fa l'aggressione russa. Sul web, nel giorno stesso in cui venne sferrata l'offensiva, si constatò la creazione di un grandissimo numero di finti account
"Sappiamo", spiega, "che ci sono degli account legati alla Russia o ad alcuni Paesi, in cui chiaramente vengono fatte affermazioni che non sono basate sui fatti; questa è una cosa che viene vista pubblicamente". Ma è anche risaputo che "il giorno stesso in cui è iniziata la guerra si è vista la creazione di una grandissima quantità di account finti".
Quest'ultimo dato "ci riporta al fatto che c'è una strategia volta a voler diffondere molta disinformazione". E questo, "proprio perché la ricerca ha visto come questi account sono tutti stati creati". Per prove evidenti di collegamento, precisa Paula Gori, mancano purtroppo gli accessi ai dati delle piattaforme. Ma i dubbi, com'è evidente, non possono che permanere.
Difendersi dalle fake news
Ma cosa possono fare gli utenti della rete, per stare alla larga dalla disinformazione sulla guerra? Una prima indicazione consiste nel fermarsi a riflettere sempre, prima di condividere contenuti sospetti. Si evita così quella condivisione d'impulso, che non di rado è dettata dall'emotività. Sono del resto le neuroscienze, osserva Paula Gori, a insegnarci che "se siamo in una situazione di paura o di rabbia, tendiamo a condividere in maniera più irrazionale sui social network": un dato, questo, apparso in piena evidenza durante i primi lockdown della crisi pandemica, quando le ansie erano particolarmente generalizzate e si condivideva in rete un'enormità di informazioni; veritiere e non.
Sul web, in presenza di contenuti sospetti a livello di disinformazione, è sempre possibile rivolgersi a fact-checker per le verifiche del caso
Va quindi considerato un assioma che vale per la disinformazione in generale: se qualcosa è troppo bello o troppo brutto per essere vero, probabilmente non lo é. Di conseguenza, "se sul vostro schermo a un certo punto appare una notizia clamorosa, prima di condividerla" è sempre essenziale consultare per un raffronto "i siti dei media più qualificati": e se essi non ne parlano, con ogni probabilità la notizia "non è basata sui fatti o deve ancora essere verificata". In rete esiste inoltre la possibilità di rivolgersi a siti e professionisti impegnati sul terreno della confutazione delle notizie false. E ormai "quasi tutti i fact-checker possono essere contattati attraverso Whatsapp" in modo quindi abbastanza semplice, ricorda la coordinatrice di EDMO.
Un ultimo punto consiste nell'essere coscienti del grado delle proprie conoscenze. "Se domani mi trovo davanti ad un pezzo 'complottista', su un argomento di cui non so proprio niente, forse è bene chiedersi se si è davvero qualificati prima di condividere qualcosa", sottolinea Paula Gori.
Vari accorgimenti, nel segno di una precisa consapevolezza: la disinformazione è pervasiva e alle sue insidie siamo tutti esposti; ma in ultima istanza è pur sempre l'utente della rete, con la sua avvedutezza, a poterle staccare la spina.
Alex Ricordi
Lotta alle fake news
Il Quotidiano 25.01.2023, 20:00