C'è, in via San Biagio dei Librai – “Spaccanapoli”, la via che spacca a metà la città vecchia di Napoli – un luogo incantato dove il tempo rallenta e ci si può sottrarre al ritmo frenetico della quotidianità. È l’Ospedale delle bambole, un laboratorio-museo aperto a fine ‘800 da Luigi Grassi e tramandato di generazione in generazione fino a Tiziana Grassi.
Qui le bambole possono essere aggiustate e restaurate. Si mette in discussione la velocità del consumismo, dell’avere sempre qualcosa di nuovo, e si riscopre la bellezza di un oggetto caro, d’infanzia, che viene riportato allo splendore che aveva nei nostri ricordi. Il laboratorio, l’ospedale intero, è visitabile e ci si muove come in un paese delle meraviglie tra corsie, reparti di degenza, “bambolatori”, teste in attesa di trapianto.
Charlotte Brontë scriveva: “Mi portavo sempre nel letto la bambola; gli esseri umani hanno bisogno di amare qualcosa e, in mancanza di un oggetto più degno di tenerezza, mi studiavo di provare piacere amando e vezzeggiando un piccolo idolo sbiadito”. L’Ospedale delle bambole è il luogo in cui il bisogno di amare qualcosa di cui scrive Brontë trova una sua perfetta espressione. Qui si torna bambini e ci si lascia incantare con naturalezza.
Valerio Maggio