Salgono sulle colline che circondano Bihac e Velika Kladusa. Gli zaini ricolmi di acqua, coperte e cibo per affrontare il cammino. Evitano i centri abitati, preferendo i boschi e la campagna. L’Italia e Trieste sono lontane 180 chilometri in linea d’aria, una distanza percorribile in circa due settimane a piedi. Da inizio 2018, oltre 13000 migranti, dati IOM (Organizzazione internazionale per le migrazioni) hanno scelto la Bosnia come luogo di passaggio sulla strada che porta a Trieste, punto di snodo per Francia, Germania, Paesi scandinavi, Spagna e altre città italiane.
Dopo il muro eretto dall’Ungheria nel 2015 e i controlli rafforzati sia sul confine serbo-croato sia su quello sloveno-austriaco, la rotta balcanica si è gradualmente modificata. Da inizio anno la Bosnia, corpo estraneo al fenomeno fino all’anno prima quando furono registrati circa 600 migranti, è entrata a far parte del grande viaggio verso Occidente.
E mentre le città di Velika Kladusa e Bihac, confine Nord Ovest con la Croazia, sono divenute gradualmente il collo di bottiglia del fenomeno, sui numeri non c’è chiarezza. “Non è possibile sapere in ogni dato momento chi è presente e chi passa dal Paese”, le parole di Peter van der Auweraert, rappresentante IOM nei Balcani dell’Ovest, “Solo il 3 percento di migranti hanno infatti presentato una richiesta d’asilo in Bosnia”. Come afferma il rappresentante dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, “Per essere più coerenti e attenersi alle stime reali del fenomeno, solitamente contiamo un 15 percento in più rispetto ai registrati”.
L’ex dormitorio dello studente di Bihac è una struttura mai terminata a causa dello scoppio della guerra. Lo scheletro dell’edificio e il campo a fianco ospitano centinaia di persone, mentre chi può permetterselo dorme negli appartamenti nei dintorni. In questa realtà lavorano, coordinate tra loro, la Croce Rossa locale e IOM, distribuendo cibo, coperte e fornendo prima assistenza. A Velika Kladusa il campo è invece adagiato sulla sponda di un torrente maleodorante e pieno di rifiuti. “Non lavoriamo in quel posto - dice il rappresentante IOM - . E’ lontano dagli standard minimi e anche se provassimo a fare qualcosa sarebbe inutile. Il fiume è un ricettacolo di immondizia e quando piove strabocca inondando il campo. Stiamo spingendo per una soluzione alternativa”.
Davide Lemmi - Michele Cirillo