L’iniziativa “No all’allevamento intensivo in Svizzera”, depositata e riuscita nel 2019 con più di 106’000 firme valide a sostegno, è il primo oggetto su cui il popolo sarà chiamato a pronunciarsi per le votazioni federali del 25 settembre. I promotori puntano a vietare nella Confederazione l’allevamento intensivo, inteso, ai sensi del testo, come quello “industriale, finalizzato alla produzione più efficiente possibile di prodotti animali, nell’ambito del quale il benessere degli animali è sistematicamente leso”.
Votazioni del 25 settembre e iniziativa contro l'allevamento intensivo: il video esplicativo diffuso dalla Cancelleria federale
La proposta di modifica costituzionale chiede quindi l’introduzione di criteri inerenti, in particolare modo, al ricovero e alla cura rispettosi degli animali, all’accesso a spazi esterni, alla macellazione e alle dimensioni massime dei gruppi di animali per stalla. In questo senso lo standard minimo sarebbe rappresentato dalle direttive Bio Suisse 2018. L’iniziativa, inoltre, chiede che anche l’importazione di prodotti animali dall’estero sia disciplinata sulla base di queste disposizioni.
Le Camere, in caso d’accettazione del testo, disporrebbero di 3 anni al massimo per stabilire le norme in questione. Trascorso questo periodo, spetterebbe al Governo l’emanazione provvisoria di queste norme attraverso delle ordinanze. Quanto alle aziende agricole, esse potrebbero avvalersi di termini transitori fino a 25 anni per l’adeguamento alle nuove disposizioni.
Gli argomenti degli iniziativisti
I promotori del testo giudicano insufficienti le norme attualmente in vigore per la protezione degli animali nel contesto agricolo. Puntano quindi il dito contro l’allevamento intensivo, affermando che in questo ambito vengono disattese in modo sistematico le necessità legate agli spazi, al movimento e alle attività di questi animali.
I favorevoli chiamano in causa anche obiettivi di rafforzamento dell’agricoltura tradizionale e di protezione del mercato interno. L’iniziativa, sostengono, avrebbe effetti solo sulle imprese agricole rivolte ad una produzione di tipo industriale (circa il 5% del numero totale). A beneficiarne sarebbero quindi le aziende tradizionali e sensibili alla problematica del benessere degli animali. Le famiglie contadine, inoltre, vanno tutelate di fronte ad una concorrenza internazionale che si risolve nell’afflusso di prodotti animali a buon mercato e di qualità inferiore. Vietare la loro importazione consentirebbe quindi di rafforzare l’agricoltura indigena.
Fra le altre finalità evidenziate dagli iniziativisti figurano anche la necessità di contenere l’uso degli antibiotici, diffusi nella produzione animale industriale, e anche quella di favorire lo sfruttamento dei terreni da pascolo. Attualmente, sottolineano i promotori del testo, la gran parte delle superfici coltivabili viene sfruttata ai fini della produzione di mangimi. Ciò consente quindi di detenere un maggior numero di animali rispetto a quello possibile ricorrendo ai pascoli. Un accesso sistematico ad essi rafforzerebbe invece la sostenibilità dell’agricoltura e il benessere di questi animali.
Gli argomenti dei contrari
Secondo Governo e Parlamento, che raccomandano di respingere l’iniziativa, la Confederazione dispone già di normative fra le più rigide e dettagliate al mondo in materia di tutela degli animali. L’iniziativa viene quindi giudicata inutile, dal momento che la dignità e il benessere degli animali sono già protetti dalla legge a prescindere dal numero di capi detenuti insieme dalle aziende agricole.
L’imposizione di requisiti ancora più severi costringerebbe circa 3’300 aziende agricole a diminuire il numero di animali detenuti, o ad aumentare le superfici, con un rilevante aumento dei costi per l’allevamento. Inevitabili effetti, sottolineano i contrari, si produrrebbero quindi sul versante dei consumatori, e in particolare per quelli con bassi redditi: aumenterebbero infatti i prezzi di derrate come carne, uova, latte, formaggi, e il livello più elevato dei prezzi in Svizzera incoraggerebbe nelle zone di confine il fenomeno del “turismo” degli acquisti.
Seri problemi, sostengono sempre l’Esecutivo e le Camere, sorgerebbero anche in relazione alle importazioni di derrate dall’estero. L’applicazione alle stesse dei nuovi standard imposti dall’iniziativa renderebbe necessari nuovi e costosi sistemi di controllo nei Paesi di provenienza delle derrate. Ma il divieto d’importazione per i prodotti non conformi agli standard rischierebbe, soprattutto, di porre in essere violazioni di accordi commerciali internazionali sottoscritti dalla Svizzera. Eventuali conflitti con l’Organizzazione mondiale del commercio (WTO), o con gli Stati con cui la Confederazione ha concluso intese di libero scambio, potrebbero quindi tradursi in ripercussioni anche per le esportazioni elvetiche.
Votazione popolare del 25 settembre: allevamenti intensivi
SEIDISERA 28.06.2022, 20:20