La Svizzera responsabile, attraverso i suoi impianti sciistici aperti, della diffusione in Europa della variante inglese? È la tesi sostenuta in Italia dal professor Walter Ricciardi, già presidente dell'Istituto superiore di sanità e consigliere del ministro della Salute Roberto Speranza. "È da ottobre che sappiamo che gli impianti sciistici non possono essere aperti", ha sottolineato l'accademico ieri, domenica, intervenendo in un'emissione televisiva della RAI dopo la decisione dell'Italia di non riaprire, nel quadro delle misure per il contenimento della pandemia, le proprie stazioni invernali.
Quindi, un esplicito riferimento alla Confederazione. "Infatti il Paese che ha fatto entrare la variante inglese in Europa è la Svizzera", ha dichiarato. "La catena" dei contagi, ha precisato "è stata ricostruita: gli inglesi sono andati a sciare in Svizzera, dove hanno tenuto aperti gli impianti sciistici, e una maestra è tornata a scuola e ha infettato tutti i suoi allievi. Da lì poi si è sparsa nel resto d'Europa."
Argomentazioni destinate a far discutere, e alle quali ha ora fatto seguito una ferma replica dell'Ufficio federale della sanità pubblica (UFSP). "Le stazioni sciistiche hanno adottato scrupolose misure di sicurezza per evitare lo scoppio di possibili focolai (...) Oltre a ciò non esiste nessuna evidenza scientifica che i focolai di variante inglese in Europa abbiano avuto origine dagli impianti di risalita elvetici", afferma per iscritto l'UFSP, da noi sollecitato.
Poco prima, la presa di posizione delle Funivie svizzere. "Si tratta di speculazioni", ha commentato alla RSI il direttore della consociazione Berno Stoffel, secondo cui "sono efficaci" le misure di protezione adottate negli impianti rimasti aperti. E la loro sicurezza, aggiunge, è anche comprovata da un esame comparativo con altri mezzi di trasporto.
Nuovamente chiamato in causa, Walter Ricciardi ha quindi precisato il senso delle sue argomentazioni. "Non è che si può immediatamente ricostruire, e dire che è da lì. Ma anche da lì, questo sì lo possiamo dire. Tutte le volte in cui noi cerchiamo una catena contagionistica, per capire come la variante inglese si sia diffusa, noi vediamo che sono viaggi dalla Gran Bretagna nelle diverse parti d'Europa e del mondo che l'hanno diffusa (...) È chiaro che non è una questione di colpevolizzazione. È semplicemente una questione di descrizione", ha dichiarato il professore.
RG/ATS/ARi