Il gap culturale fra Italia ed Europa continentale riguardo alla ricerca, alla diffusione e all’apprezzamento della musica vocale di età tardo-rinascimentale e barocca – vale a dire proprio le epoche che conobbero il dominio della musica italiana – è ben lungi dall’essere colmato. Ma rispetto alla scena di 50-60 anni fa, la situazione odierna ha fatto passi letteralmente da gigante, nonostante le difficoltà e i veri e propri ostacoli dovuti alle inadeguatezze assortite di strutture, normative e politiche culturali. Se dunque decenni fa quel repertorio era appannaggio di interpreti e ensemble “oltremontani”, molto spesso oggi sono proprio i migliori interpreti italiani a dettare gli standard di eccellenza a riguardo.
Quando Ottavio Dantone alla testa dell’Accademia Bizantina offre al pubblico una nuova produzione, di regola sono proprio questi i pensieri che vengono alla mente. È accaduto anche nei giorni scorsi al Teatro Alighieri di Ravenna dove con il titolo Eroi erranti è andata in scena una Trilogia d’autunno. Tre spettacoli, i primi due affidati all’Accademia Bizantina: Il ritorno di Ulisse in Patria di Monteverdi e il dittico Dido e Aenea nel giorno di Santa Cecilia su musiche di Purcell. Infine un recital di musiche di vari autori del controtenore Jakub Józef Orlinski con l’ensemble Il pomo d’oro.
Qualche tempo fa, Ottavio Dantone pronunciò una frase divenuta subito una sorta di refrain nei commenti relativi all’interpretazione del Ritorno di Ulisse in Patria offerta dall’Accademia Bizantina e approdata nel 2022 su cd e dvd: «l’opera più bella mai scritta». Difficile pronunciarsi nel merito, ma a Ravenna, in effetti, la sensazione è stata quella di aver riascoltato un’opera sottovalutata.
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