‘L’espressione “world music” è stata in uso dagli anni Sessanta del Novecento nei testi di etnomusicologia, semplicemente per indicare – letteralmente – la musica (o le musiche) del mondo. Di tutto il mondo. Ma negli anni Ottanta ha cominciato ad assumere altri significati, sottintendendo un “noi” (la musica del mainstream popular angloamericano) e un “loro” (le musiche del resto del pianeta). Paradossalmente, il brano “We Are The World” – registrato da un supergruppo di star nel 1985 e destinato a raccogliere fondi per l’Etiopia colpita dalla carestia – assunse un valore politico proprio per la rivendicazione da parte di quelle star angloamericane di essere “anche loro” parte del mondo. Un’ovvietà, sembrerebbe: ma non era così. Dall’inizio di quel decennio si era diffuso un interesse verso le culture musicali africane: diversi artisti avevano coinvolto musicisti africani nei loro progetti, alcuni erano andati in Africa a registrare i propri dischi, e nelle discoteche di alcuni paesi i dj facevano ballare al suono di dischi di artisti africani. Peter Gabriel aveva fondato un’etichetta per accogliere produzioni di artisti di vari paesi extraeuropei. Accadde, però, che i nuovi appassionati di quelle musiche avessero difficoltà a trovarle nei negozi di dischi, perché nella sezione dedicata alla musica etnica si confondevano in mezzo ai dischi di interesse etnomusicologico, e in quella dedicata alla popular music annegavano in mezzo a migliaia di dischi pop e rock. Così, nell’estate del 1987, fu convocata a Londra (in un pub dal nome suggestivo: Empress of Russia) una riunione di critici musicali, titolari di piccole etichette, importatori di dischi, che alla fine concordarono di suggerire ai negozianti di creare un nuovo scaffale, destinato a quelle produzioni che si volevano promuovere, intitolandolo “World Music”. Fu la sanzione di un nuovo genere, ed ebbe successo. A un orecchio attento si delineavano filoni diversi: la popular music emersa dopo la decolonizzazione di paesi come il Senegal, il Ghana, la Nigeria, e dell’India, del Pakistan, e così via; la popular music del mondo non anglofono in generale (includendo il Medio e l’Estremo Oriente e l’America Latina, ma anche i paesi europei non anglofoni); la musica nata dalla collaborazione tra musicisti del Primo e del Terzo mondo, spesso basata sull’incorporazione di strumenti e tecniche non appartenenti al mainstream popular. Il sito worldmusiccentral.org è uno strumento utile per esplorare quell’universo musicale, e offre risorse di qualità: segnalazioni e recensioni di prodotti discografici, biografie di musicisti, un glossario degli strumenti musicali, una ricostruzione della storia del concetto di world music (con un link al verbale della famosa riunione del 1987), un elenco di locali, di festival, di agenti e promotori. Dietro a tutto questo c’è un fondatore e senior editor, Angel Romero y Ruiz, e una manciata di collaboratori. Davvero un bel lavoro.
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