Storia e mito, magnificenza regale e profondità psicologica si fondono nel Giulio Cesare di Händel, in scena in queste settimane ancora a Reggio Emilia, Lucca e Bolzano, con la direzione di Ottavio Dantone alla guida dell’Accademia bizantina e un cast in cui figurano ben quattro controtenori. Sarà Paolo Borgonovo, che l’ha vista per noi a Modena, a svelarci vizi e virtù di questa produzione, firmata per la regia da Chiara Muti, mentre Nicola Cattò, nella sua cartolina, ci racconterà le vicissitudini del teatro londinese dove Giulio Cesare debuttò tre secoli e un anno fa. La tradizione italiana impiantata a Londra, di cui Händel fu il massimo esponente, è solo uno di molti filoni, fra i quali il Rinascimento inglese e l’atonalità novecentesca, le pratiche di religiosità comunitaria e il melodismo popolare britannici, da cui Benjamin Britten estrasse materiali per forgiare uno stile compositivo e una scrittura vocale, soprattutto per la voce maschile, originalissimi ed essenziali. Illuminiamo alcune figure create da Britten assieme ad Alessandro Macchia, autore dell’unica monografia italiana dedicata al compositore inglese e pubblicata ora in una nuova edizione per Edt.
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