La crisi climatica in Iraq ha cause profonde ed è il risultato di una storia complessa di colonizzazione, interventi internazionali, cattiva gestione e trascuratezza ambientale. L’Iraq è anche uno dei Paesi petroliferi che durante la COP28 di Dubai si è opposta con più forza a un accordo che stabilisse chiaramente un’agenda per l’eliminazione dei combustibili fossili. Ma anche in Iraq, c’è chi lavora a un futuro “rinnovabile”, beneficiando di un periodo di relativa stabilità politica. L’obiettivo dichiarato alla fine del 2023 dal premier Sudani è produrre entro il 2030 un terzo dell’elettricità del Paese, che ha un fabbisogno compreso tra 15 e 42 Gigawatts (durante i mesi estivi), attraverso le fonti rinnovabili. Attualmente la quota di rinnovabili si aggira attorno ai 1600 Megawatts (da notare che 1 Gigawatt equivale a 1000 Megawatts).
Rubik va oggi alla scoperta dei paladini delle rinnovabili in Iraq, con Ahmed Hamoudi, il direttore del Renewable Energy Research Center dell’Università di Anbar, definito da un documento del Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo “il più attivo istituto di ricerca sull’energia solare e rinnovabile in Iraq”.
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