Gli iraniani tornano alle urne e la rielezione di Hassan Rohani, l’attuale presidente che ha promosso lo storico accordo sul nucleare, non è scontata. Gli elettori dovranno dire se la sua politica moderata degli ultimi 4 anni, che ha portato ad una certa apertura, politica ed economica, verso il mondo occidentale è riuscita a far breccia nella società.
Dall’altra parte, l’avversario più temibile è Ebrahim Raisi, conservatore e candidato del Fronte popolare delle forze della rivoluzione islamica, un gruppo politico nato alla fine del 2016 con l’obiettivo di raccogliere le fazioni più conservatrici in un’unica entità. È considerato come il delfino della Guida suprema, Ali Khamenei, 77 anni, il vero detentore del potere in Iran sia dal punto di vista politico che religioso.
In effetti le elezioni presidenziali non sono totalmente libere visto che un apposito organo seleziona i candidati che possono presentarsi agli elettori: per questo motivo non ci sono donne ma non ci sarà nemmeno il conservatore Mahmud Ahmadinejad, presidente dal 2005 al 2013 e uno dei politici iraniani più noti nel mondo, la cui candidatura è stata bocciata un po’ a sorpresa il mese scorso.
A guardare con attenzione a queste elezioni sono in molti sia sul piano regionale che mondiale, ivi compresi la Svizzera, che in questi ultimi tempi ha intensificato i contatti politici ed economici con l’Iran.
A Modem intervengono:
Sara Hejazi, antropologa dell’Università di Torino;
Marco Passalia, vicedirettore della Camera di commercio del Canton Ticino;
Rick Paydar, ingegnere chimico iraniano attivo in Ticino;
Riccardo Redaelli, docente di geopolitica all’Università cattolica di Milano.
Replica su Rete Due alle 19.30
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