Cinema

Meno realismo, più Miyazaki

“Il ragazzo e l’airone” è pieno di citazioni, di domande sull’arte, di amore per il cinema. Un capolavoro che arriva al momento giusto

  • 4 gennaio, 18:00
  • 9 gennaio, 22:01
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Di: Michele R. Serra 

Nella prima parte di Il ragazzo e l’airone, Mahito trova il libro lasciatogli dalla madre. La donna è morta poco prima, durante uno dei bombardamenti su Tokyo condotti con ordigni incendiari dall’aviazione statunitense tra il 1942 e il 1945 (le statistiche storiche concordano nel rilevare che quei bombardamenti, nel loro insieme, provocarono più vittime civili delle atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki).
Il libro è E voi come vivrete? di Genzaburo Yoshino: un’opera che ha rischiato di non sopravvivere alla Seconda Guerra Mondiale, proprio come la madre del protagonista dell’ultimo film di Hayao Miyazaki. Yoshino era infatti stato in carcere per motivi politici nel Giappone autoritario degli anni Trenta – molti storici hanno parlato di fascismo giapponese, per descrivere quell’epoca – e aveva costruito il suo romanzo come un inno al libero pensiero individuale dedicato alle nuove generazioni. La censura del regime lo aveva fatto sparire dalla circolazione negli anni Quaranta, e anche la ripubblicazione avvenuta dopo il 1945 lo vedeva privo dei riferimenti alla lotta di classe e alla critica del capitalismo. Solo in seguito il testo sarebbe stato riportato alla forma originale, e sarebbe diventato un best-seller: prima in forma di libro, poi in quella di manga.
Mahito legge quelle pagine. Piange. Poi comincia il suo viaggio in un mondo fantastico.

Il film che Hayao Miyazaki ha realizzato negli ultimi sette anni circa, insieme a un team di sessanta animatori, nella versione originale ha lo stesso titolo del romanzo di Yoshino. Non è un adattamento, ma evidentemente quel testo ha avuto enorme importanza nella costruzione di questa storia, e più in generale nella vita del più importante autore vivente del cinema d’animazione mondiale. Forse per il contenuto politico visibile in controluce: del resto, lo stesso Miyazaki era stato affascinato, negli anni Sessanta dal socialismo scientifico e dal marxismo. Ma più probabilmente perché Genzaburo Yoshino si rivolgeva ai giovani, in qualche modo raccontava il dialogo tra generazioni, cercava di esortarli al pensiero e all’azione indipendenti, a fare tesoro degli insegnamenti di chi era venuto prima di loro. Peter Burke, storico e professore emerito a Cambridge, ha da poco dato alle stampe un saggio intitolato Ignoranza, in cui scrive come le nuove generazioni siano spesso assai poco coscienti di ciò che le precedenti sapevano. Come a dire: l’umanità non procede naturalmente verso l’illuminazione, e per non disperdere i patrimoni culturali accumulati nel passato, è necessario uno sforzo di volontà. «Ti andrebbe di proseguire il mio lavoro?», chiede al giovane protagonista l’Airone che dà il titolo alla versione italofona del film. Forse è la domanda che tormenta, sottopelle, anche Hayao Miyazaki.

I libri – e le storie, di conseguenza – sono una forza potente, dentro Il ragazzo e l’airone. Capace di muovere a commozione, di rinsaldare i legami con le persone amate e perdute. Ma anche un pericolo, come accade al vecchio prozio, al quale l’eccesso di letture è costato secondo alcuni il senno (“troppi libri”). Dunque può succedere, a chi di mestiere costruisce mondi fantastici, di rifugiarsi nell’immaginazione fino a perdere il contatto con la realtà, con la vita, allontanandosi da quell’esistenza responsabile che per l’etica giapponese rimane valore supremo? E se si viene colpiti da questa specie di malattia professionale, ogni risultato artistico perde valore? Tante domande, che appaiono rivolte anche e soprattutto alla coscienza dell’autore stesso.
Eppure questa angoscia non appare senza uscita, perché traspare comunque la soddisfazione dell’autore, nel modo in cui Il ragazzo e l’airone celebra tutti i mondi della filmografia miyazakiana, attraverso citazioni evidentissime delle sue opere più note, da Il mio vicino Totoro a La città incantata. Ma c’è tantissimo di più: ogni scena sembra ricordare un capolavoro sepolto in qualche angolo del nostro cervello, cinema, letteratura, pittura. A me il film ha riportato davanti agli occhi immagini di Fellini, Antonioni e Lynch, i paesaggi metafisici di De Chirico, decine di altre suggestioni. Miyazaki aveva probabilmente in testa anche molti riferimenti meno occidentali, ma il successo globale del film – primo al botteghino statunitense nel weekend di apertura, primo in Francia all’uscita in novembre, primo in Italia dove è arrivato con tre giorni di anticipo rispetto alle sale svizzere – dimostra che il risultato è, semplicemente, bellezza universale.
Certo, il prozio-demiurgo che appare nel finale del racconto fatica a mantenere una parvenza di ordine nel mondo fantastico che ha costruito, ma Miyazaki sembra voler abbracciare quel disordine: difficile non pensare a quanto l’animazione sia da sempre arte che vive di mutazione continua e immagini metamorfiche, sin dai primi meravigliosi Silly Simphonies di Walt Disney negli anni Trenta.

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Non è un film per bambini, Il ragazzo e l’airone. E neppure il film che consiglierei di vedere per primo, a chi non si fosse mai avvicinato al cinema di Hayao Miyazaki.
È piuttosto il capolavoro che arriva al momento giusto.
Nella carriera di Miyazaki stesso, certo, perché chi è un maestro riconosciuto si può permettere di echeggiare anche immagini in qualche modo già viste, senza ansie di novità a tutti i costi.
Ma forse è anche il momento storico giusto, perché opere come questa possano essere un vaccino contro l’influenza di realismo che sembra ammorbare la cultura contemporanea, che si parli di romanzi, film o musica: essere “autentici” è il mantra dei musicisti del presente, mentre noi sogniamo George Clinton con le astronavi di cartone; sugli scaffali delle librerie impazzano gialli metropolitani che non reggono il confronto con le pagine di cronaca, mentre noi vorremmo che qualcuno ci raccontasse degli alieni pentadimensionali del pianeta Tralfamadore. Il ragazzo e l’airone ci ricorda che il cinema, e quello d’animazione in particolare, serve soprattutto a mettere in scena realtà diverse dalla nostra. Che di reale hanno poco, ma di rivoluzionario, ancora molto.

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