Architettura

Abitare nei fumetti? Perché no?

Tra collage, rivisitazioni, capitelli e citazioni, il movimento postmoderno portò in architettura una ventata di ironica e colorata provocazione.

  • 29 agosto, 09:42
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Giorgio Carpinteri, Città futuribile da Acquatlantic (2020)

Di: Romano Giuffrida

…e poi arrivò la fine del proibizionismo. No, non ci riferiamo al 1933, ossia a quando negli Stati Uniti venne annullato il bando sulla fabbricazione e la vendita di alcool in vigore dal 1920.

Il proibizionismo al quale facciamo riferimento e che venne chiamato così dall’architetto Paolo Portoghesi (1931-2023), è quello che in architettura, il cosiddetto Movimento Moderno (tra cui gli architetti Le Corbusier, Gropius, Loos, ecc.), sin dai primi decenni del Novecento, con dogmi e regole, aveva “imposto” agli individui di vivere in abitazioni concepite come funzionali senza alcuna concessione all’ornamento.

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Riccardo Bofil (1939-2022) – complesso residenziale Walden 7 (Barcellona)

Con la fine del proibizionismo, alla casa “funzionale”, si sostituisce ora il criterio del piacere dell’abitare. Si afferma così il postmodernismo ossia, come affermò lo storico dell’architettura Marco Biraghi, un movimento che: «si propone come pluralista e difensore della diversità, della frammentarietà, dell’ambiguità, della pluristratificazione; sostenitore della dispersione, della disseminazione così come dell’accumulo, della contraddizione come proliferazione di mere opposizioni, prive di alcuna relazione tra di loro».

Sono gli anni che il filosofo Jean-Françoise Lyotard (1924-1998) nel suo testo La condition postmoderne (del 1979), definisce come quelli della fine delle “grandi narrazioni” ideologiche che, dall’Illuminismo in poi, avevano influito sul pensiero e sulle culture occidentali.

In quella fin de siecle prossima ventura pronta ad aprirsi al nuovo millennio, effettivamente veniva vissuta un’epoca, come disse il sociologo e filosofo Zygmunt Bauman, che: «eccelle nello smantellare le strutture e nel liquefare i modelli».

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Frank Gehry (1929) - Ray and Maria Stata Center – Cambridge, Massachusetts (2004)

Anche se le sue origini possono essere rintracciate già negli anni Cinquanta e poi sviluppate nei due decenni successivi, il postmodernismo è soprattutto negli anni Ottanta che si afferma come movimento culturale, e lo fa nell’arte pittorica, grafica, nella moda, nel design e, naturalmente, nell’architettura.

L’architettura postmoderna eredita, pur se in maniera contraddittoria, lo spirito un po’ folle e ironico del Maggio ’68 traducendolo in un pastiche nel quale sperimentazione, rilettura del passato, provocazione, ecclettismo, imitazione, revival, citazionismo e molto divertissement giocano insieme in una sorta di freudiana “uccisione del padre” per la rottura definitiva dei codici sino a quel momento intoccabili.

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  • John Heiduk – Wall House, Groningen (Olanda)

Che dire, ad esempio, della Wall House II dell’architetto statunitense John Heiduk (1929-2000) che sarebbe potuta essere l’abitazione di una ipotetica città futuribile disegnabile da Giorgio Carpinteri (1958) per la rivista Frigidaire negli anni ‘80? L’edificio, progettato nel 1976 ma dopo innumerevoli vicende, realizzato solo nel 2021, si trova a Groningen, nei Paesi Bassi. Le abitazioni sono costruite attorno ad un muro al quale sono “attaccate” diverse stanze su due piani. Non è difficile scorgere in questa Wall II l’ispirazione, in fase di progettazione, alla pittura cubista e alla scultura surrealista.

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  • John Heiduk – Kreuzberg Tower, Berlino

Sempre di Heiduck la Kreuzberg Tower a Berlino che, rimanendo nel campo delle associazioni grafiche, potrebbe benissimo essere stata ispirata da una tavola del disegnatore Mebius. Il progetto ha portato alla realizzazione nel 1987 di una torre di 14 piani e di due ali separate di 5 piani. Certamente singolari i balconi e le tende con forme geometriche verdi che spiccano sulle pareti di colore neutro e che, nelle due ali, disegnano il muso di due gatti.

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  • Studio BBPR – Torre Velasca, Milano

In questa babele degli stili, come è stata chiamata la progettazione postmoderna, un ruolo non indifferente l’ha avuta la filosofia che spingeva a trarre architettura dall’architettura ossia a guardare al passato per dare forma al presente. A Milano lo aveva già fatto negli anni Cinquanta lo studio BBPR, dal nome degli architetti Gian Luigi Banfi (1910-1945), Ludovico Barbiano di Belgioioso (1909-2004), Enrico Peressutti (1908-1976), Ernesto Nathan Rogers (1909-1969). Cos’altro è se non un ritorno nel “grembo della storia” la Torre Velasca (1958), un progetto della contemporaneità che “dialogava” con gli edifici storici di Milano a partire dalla Torre del Filarete del Castello Sforzesco? Con il postmodernismo l’idea dell’abitare va appunto di pari passo con il recupero, la similitudine o la metafora dei valori simbolici del passato, per una sorta di “rifondazione” della memoria collettiva dei luoghi per la creazione di un’identità attraverso l’architettura.

Paolo Portoghesi - Casa Papanice (particolare), Roma
  • Paolo Portoghesi - Casa Papanice (particolare), Roma

Ne è un esempio Casa Papanice realizzata a Roma nel 1970 dall’architetto Paolo Portoghesi che nel tempo è diventato un simbolo del postmodernismo italiano. La costruzione, giocata sugli stilemi del Barocco romano e dell’Art Dèco, è un tripudio di pareti bombate rivestite di listelli di maiolica colorati, parapetti di balconi realizzati con tubi simili a canne d’organo di metallo e pareti deformate e colorate con fasce orizzontali.

E’ un esempio di classicismo moderno e ironico che “strizza l’occhio” a quel kitsch che, come qualcuno disse, risarciva gli inquilini della «dolorosa assenza della favolistica» dell’architettura precedente.

Aldo Rossi – Condominio Monte Amiata, Qt. Gallaratese, Milano
  • Aldo Rossi – Condominio Monte Amiata, Qt. Gallaratese, Milano

In quel periodo, come scriveva Alessandro Mendini (1931-2019) la rivoluzione consisteva nella «banalità della fantasia». Una fantasia che spesso riuscì a trasformarsi in arte come nel visionario Condominio Monte Amiata del quartiere Gallaratese a Milano, opera dell’architetto Aldo Rossi, considerato uno dei fondatori del postmodernismo italiano. Il condominio caratterizzato da una sequenza di finestre quadrate, è una struttura labirintica con gallerie rosse e gialle, capaci di creare effetti prospettici ed espressionistici molto forti, che conducono a piccole abitazioni popolari di due o tre locali collegati da ballatoi: un richiamo alla caratteristica tipica dell’edilizia popolare milanese.

Quella postmoderna i più critici l’hanno chiamata architettura del travestitismo; affiancando però il condominio progettato da Aldo Rossi ai grigi condomini degli squallidi quartieri-dormitorio, verrebbe da dire: viva il travestitismo.

Incontro con Paolo Portoghesi

RSI Cultura 31.05.2023, 11:45

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