Dopo molti inseguimenti, fra impegni e scioperi dei treni che mi hanno impedito di raggiungere Antonio Rezza e Flavia Mastrella nella loro sede di Anzio, incontro i due artisti in un bar dell’EUR, nella zona sud di Roma. Da pochi giorni ho avuto modo di assistere a un estratto del loro nuovo lavoro ancora in fieri a Romaeuropa Festival 2024, all’interno dell’evento collettivo Spores project, uno spettacolo itinerante che vede giovani attori, danzatori e musicisti accanto a colleghi più grandi nei variegati «habitat» (come li definisce la coppia vincitrice di quel Premio speciale Ubu 2013, da entrambi dichiarato «postumo», e del Leone d’Oro alla carriera alla Biennale di Venezia 2018) realizzati dalla Mastrella per l’occasione.
Se Spores project, da un punto di vista delle singole esibizioni degli interpreti più acerbi, risulta un’operazione fragile a causa di un’ingenuità di fondo che sembra abitare la Generazione Z – l’appello ai buoni sentimenti e le urla di protesta appaiono anacronisticamente inefficaci – lo stesso, naturalmente, non si può dire per il nuovo pezzo di Rezza-Mastrella, dove, come di consueto, «il più grande performer vivente» si muove all’interno dell’ennesimo gioco geometrico ideato dall’artista coautrice. Lo spettacolo è strutturato su un pentagono che fa da base a una costruzione di vele sottili e stanghe e che troneggia sulla scena richiamando a chi guarda l’immagine di un assurdo veliero.
Ed è ovviamente Antonio Rezza, posizionato al centro dell’immagine, a traghettare il pubblico all’interno di un narrato marittimo, facendosi capitano di una nave allo sbando in continuo dialogo col proprio equipaggio. Ma a differenza degli ultimi spettacoli di Rezza-Mastrella, che vedevano l’attore-autore circondato da più interpreti impegnati a rispondere al suo agire scenico (Hybris – 2022 – e Anelante – 2015 –), Rezza qui torna all’assolo, rinunciando alla presenza degli altri in favore dell’interazione continua con la propria voce registrata. È infatti a quest’ultima che sono affidate le parole della ciurma, il cui discorso surreale, slegato da qualsiasi pretesa comunicativa d’impegno civile – pretesa che, oggi, rischia immediatamente di essere la stanca ripetizione di quanto già ci viene quotidianamente raccontato in malo modo dai media – appare come una grande, esilarante frammentazione onirica.
«Avevo scritto delle cose, senza che ci fosse ancora la struttura di Flavia al centro», mi dice Antonio raccontandomi il processo che ha portato alla realizzazione di questo primo brano di spettacolo. «Per scritto non intendo messo per iscritto e poi agito – io provo repulsione per il teatro scritto, perché ti permette di immaginare l’effetto che otterrai, mentre la performance è in un certo senso più pura; quello che faccio, quindi, è prima realizzato in prova attraverso l’istinto e, man mano che procedo, viene fissato. Comunque, avevo questo materiale di cui, oggi, rispetto a quanto hai visto, è rimasta una minima parte. Quando ci siamo installati al Teatro Vascello per le prove, la grandezza dello spazio scenico ha immediatamente “mangiato” quelle che erano le prime illusioni rispetto al lavoro. È stato a quel punto che io mi sono posizionato nel mezzo della struttura di Flavia ed è nata questa barca-astronave attorno a cui ruota tutto».
Per chi ancora non conoscesse il cammino di Rezza-Mastrella, deve immaginare che il loro, che oggi ha alle spalle più di 35 anni di storia nei quali i due hanno realizzato numerosissimi film (l’obiettivo iniziale di entrambi era un certo modo di fare cinema), quindici spettacoli, libri e mostre, è un «teatro di montaggio» in cui i singoli tasselli vanno gradualmente a comporre un quadro generale. Flavia Mastrella, in partenza artista plastico-visiva orientata verso il mondo dell’arte contemporanea dal quale si è presto discostata, realizza sculture interattive dotate di un linguaggio autonomo, perlopiù composte da stoffe variopinte e materiali diversi in cui l’agile corpo di Antonio trova un modo di muoversi che conferisce ulteriore significato alla composizione. Il tutto è poi impregnato dalla corrosiva poetica di Antonio, dalla sua capacità, attraverso la furia verbale, di graffiare e manomettere ritornelli, luoghi comuni e parole vuote da cui siamo da tempo linguisticamente colonizzati.
«Siamo ortodossi dell’arte», dice Flavia quando le chiedo su cosa, a suo avviso, si giochi il magico incastro fra lei e Antonio. «Non si riesce a capire fino in fondo cosa ci leghi, oltre che siamo due persone completamente diverse e ognuna cura una parte che completa l’altro. Ma è questa la bellezza. Certo ciò che ci unisce è lo stupore reciproco». E stupore, in senso lato, è spesso stata l’emozione che ha colto i tantissimi spettatori che hanno avuto modo di assistere, nel tempo, a spettacoli quali Io (1998), Fotofinish (2003), 7-14-21-28 (2009) e Fratto_X (2012), dove lo spirito dissacrante di Antonio Rezza e Flavia Mastrella si è dimostrato capace di far sentire il pubblico nei guai, mentre si sbellica dalle risate per battute intelligentemente scorrette e nemiche del banale, nelle quali i posticci idoli della cultura di massa – la famiglia, i bambini, il falso amore per il prossimo – sono letteralmente fatti a pezzi mentre si è presi di petto, intimoriti dal solo presentimento che Antonio Rezza, come spesso ha fatto e ancora fa, ci tiri in mezzo in prima persona sul palco.
«Una sensazione che spesso ha accompagnato chi assiste ai vostri lavori è stata quella di essere in pericolo: Rezza mi può fare qualcosa durante lo spettacolo. È un sentimento, per me, antico, vicino alla tragedia – qualcosa di inevitabile avverrà – che ho provato solo attraverso le esperienze da spettatore della Societas...», dico ad entrambi nel corso della nostra discussione. «A prescindere che ciò avvenga o non avvenga», interviene subito Flavia, «questo sentore c’è perché gli spettatori vengono proiettati nel mondo dell’inconscio: la narrazione che hanno di fronte è frammentaria, la realtà rappresentata non è reale e Antonio tocca i punti interni dell’essere umano. C’è poi l’aspetto visivo, che cattura parti ataviche della persona. Quindi, avendo di fronte qualcosa di assolutamente non catalogabile, il pubblico si sente scoperto».
«Quando fai uno spettacolo ogni tre anni», aggiunge Antonio, «sarebbe grave se non ci fosse questo senso di inquietudine. Il problema dei lavori in cui questo aspetto manca, è che finché le compagnie saranno legate a un Ministero che impone di realizzare un’opera all’anno, non sarà possibile per chi fa teatro avere un reale sentimento e rinnovarlo, perché si diventa degli impiegati di un sistema ministeriale attraverso il quale lo Stato ti imbavaglia. Molto più dignitoso, allora, per me lavorare alle poste».
Dire che l’attività di Antonio Rezza e Flavia Mastrella sia intensa è dir poco: se si consulta il calendario sul loro sito, li scopriamo sempre in viaggio, impegnati a portare i propri lavori di repertorio, i loro film e quanto realizzano costantemente in tutta Italia e non solo.
Roberto Favaro: Milleuno Ballestrini
Jukebox 900 27.10.2019, 20:00
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