Arte

Ugo Mulas, una vita tra fotografia e arte

Testimone e interprete straordinario del proprio tempo, Mulas non smise mai di interrogarsi sul medium fotografico. Fino al 2 febbraio a Palazzo Reale a Milano un’ampia retrospettiva ne ripercorre l’intera produzione

  • 30 dicembre 2024, 14:00
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Ugo Mulas, Verifica13. Autoritratto con Nini. A Melina e Valentina, 1972

  • © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli
Di: Francesca Cogoni 

Lucio Fontana con il punteruolo in mano, immortalato nel gesto risoluto di bucare la tela; Alberto Burri mentre plasma la plastica con la fiamma ossidrica; Marcel Duchamp nella sua casa di New York, ripreso di spalle mentre osserva pensieroso una scultura di Costantin Brancusi; Alexander Calder intento a realizzare uno dei suoi leggeri e giocosi mobiles… Dietro ciascuna di queste immagini c’è lo sguardo di un grande fotografo, testimone privilegiato di preziosi attimi e gesti creativi. Un fotografo che ha saputo, tra le altre cose, interpretare e catturare tutta la bellezza e la vitalità della scena artistica italiana e internazionale tra gli anni Cinquanta e Settanta: Ugo Mulas.

«È chiaro che quello che si può fare con la macchina fotografica non si può fare con nessun altro strumento. Direi, forse, nemmeno col cinema perché la fotografia ti porta a puntualizzare certi momenti, certe situazioni limite. […] Non si tratta solo di scegliere l’attimo particolare, non si tratta di colpo d’occhio particolare ‒ si tratta prima di tutto di capire le intenzioni dell’autore. Quindi l’operazione del fotografo è un’operazione critica d’intelligenza, di comprensione» dichiara Mulas all’amico artista Pietro Consagra nel volume realizzato a quattro mani Fotografare l’Arte (1973). E infatti, furono proprio l’intelligenza e la capacità di comprensione, insieme all’acutezza dello sguardo, a fare di Ugo Mulas uno dei maggiori fotografi del secondo Novecento. Le sue immagini hanno il potere di catapultarci direttamente lì, in quel formidabile periodo di sperimentazione artistica e culturale da lui vissuto in prima persona, tra una Biennale d’Arte e uno studio d’artista, tra lo storico bar Jamaica e la vivace New York di metà anni Sessanta.

Ugo Mulas, Tessuti Taroni, 1970.jpg

Ugo Mulas, Tessuti Taroni, 1970

  • © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli

È trascorso ormai mezzo secolo dalla prematura scomparsa di Ugo Mulas, avvenuta nel 1973, ma il suo lascito e il suo pensiero conservano intatte la loro rilevanza e risonanza, continuando a offrirci nuove prospettive e spunti, svelandoci particolari e aspetti inediti. Prova ne è la splendida mostra Ugo Mulas. L’operazione fotografica, allestita fino al 2 febbraio 2025 a Palazzo Reale a Milano, città dove Mulas mosse i suoi primi passi come fotografo e che oggi gli dedica un doveroso omaggio. Circa trecento scatti, di cui alcuni mai esposti prima, accanto a documenti, pubblicazioni e filmati, raccontano vent’anni di appassionata ricerca: dai primi reportage nel capoluogo lombardo ai fecondi incontri e sodalizi in Italia e oltreoceano, e poi la frenetica attività dietro l’obiettivo e in camera oscura e le incessanti riflessioni sul mezzo fotografico.

Il percorso espositivo prosegue anche oltre le sale di Palazzo Reale, attraverso un itinerario che coinvolge alcuni luoghi e musei meneghini legati in vario modo alla vita e all’opera di Ugo Mulas: la Pinacoteca di Brera, il Museo del Novecento, il Museo Poldi Pezzoli e la Fondazione Marconi. “Ugo Mulas in città”, questo il nome dell’iniziativa diffusa, è una preziosa occasione per approfondire il rapporto stretto e peculiare tra il fotografo e il contesto storico e culturale milanese.

Nato nel 1928 a Pozzolengo, in provincia di Brescia, all’età di vent’anni Ugo Mulas si trasferisce a Milano per studiare Giurisprudenza. Completa gli studi ma sceglie di non laurearsi. Nella città meneghina, inizia ben presto a frequentare l’ambiente dell’Accademia di Brera e del vicino bar Jamaica, luogo di ritrovo di numerosi artisti e intellettuali, da Piero Manzoni a Mario Dondero, a Luciano Bianciardi. Autodidatta, Mulas si avventura nel mondo della fotografia quasi per caso, attratto dalla possibilità di fornire una testimonianza critica della società attraverso il mezzo fotografico. I suoi primi reportage risalgono al 1953-54 e ritraggono le periferie milanesi in espansione, la Stazione Centrale e gli amici del bar Jamaica. Nel ’54, insieme a Dondero, realizza il suo primo reportage alla Biennale di Venezia, che finisce sulle pagine del giornale “Le Ore”. Mulas continuerà a fotografare la prestigiosa rassegna lagunare fino al 1972, dando origine a un bagaglio di immagini di grandissimo valore.

Ugo Mulas, Joan Mirò, Museo Poldi Pezzoli, Milano, 1963

Ugo Mulas, Joan Mirò, Milano, 1963

  • © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli.

Nel fervido clima artistico e culturale della Milano degli anni Cinquanta-Sessanta, nascono nuove opportunità e collaborazioni, per esempio con le testate “Settimo Giorno”, “Illustrazione Italiana”, “Domus” e “Novità”. In questo periodo, Mulas lavora molto nel settore della pubblicità e della moda, collaborando tra gli altri con la stilista Mila Schön. E nel 1958, sempre al Jamaica, conosce la fotografa Antonia Buongiorno, che diventerà sua moglie, oltreché fidata collaboratrice.

Ambito prediletto da Mulas è quello dell’arte. Ad affascinarlo sono in particolare la manualità e la gestualità degli artisti all’opera, il momento formativo e performativo della creazione, lo spazio dell’azione artistica. Esemplare, in questo senso, è la serie di fotografie che Mulas dedica a Lucio Fontana tra il ’62 e il ’64, nello studio dell’artista in corso Monforte a Milano. «[…] in Fontana ho visto questa duplice natura, questa sua forza proprio fisica, istintiva, diciamo, quasi automatica e il suo grande desiderio di controllarla, di dominarla, di arrivare a una chiarezza concettuale; insomma era un pittore fra due momenti, fra due mondi, cioè un pittore che ha sentito molto forse tutti i motivi che sono stati alla base del rinnovamento… non voglio dire un pittore che ha seguito le mode, ma proprio ha sofferto molto».

Ugo Mulas, Lucio Fontana, L’Attesa Milano, 1964

Ugo Mulas, Lucio Fontana, 1964

  • © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli.

Ben presto Mulas manifesta il proposito di realizzare un approfondito reportage sulla scena artistica italiana e internazionale. La prima occasione gli viene offerta dalla mostra “Sculture nella città”, che nell’estate del 1962 raduna a Spoleto circa cinquanta artisti italiani e stranieri. Il 1964 è un altro anno cruciale per Mulas: alla Biennale di Venezia scopre la Pop Art americana e decide di intraprendere il suo primo viaggio negli Stati Uniti. A sostenerlo in questa avventura sono il critico Alan Solomon e il mercante d’arte Leo Castelli, che lo introducono nel panorama artistico d’oltreoceano. In America, Mulas ha l’opportunità di incontrare e fotografare importanti artisti al lavoro, tra cui Frank Stella, Roy Lichtenstein, Jasper Johns, Robert Rauschenberg, e di ritrarre personalità come Marcel Duchamp, Andy Warhol e John Cage.

Così Solomon descrive il modo di lavorare del fotografo: «Mulas portava con sé qualcosa che essi capivano benissimo; un’incredibile rapidità d’occhio e una sensibilità pronta, senza pari nella mia esperienza, per cose che gli risultavano del tutto ignote. […] A differenza di altri fotografi, Mulas non vi fa mai avvertire la presenza della sua personalità o del suo mestiere. Forse è il più invisibile dei fotografi viventi, in apparenza passivo, affascinante per la sua diffidenza, eppure pronto a lavorare con intensità terribile, con preoccupazione totale». La collaborazione con gli artisti statunitensi continuerà fino al 1967, concludendosi con l’ammirevole pubblicazione New York: arte e persone.

Ugo Mulas, Oriana Fallaci, 1964.jpg

Ugo Mulas, Oriana Fallaci, 1964

  • © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli

Tra i molti artisti americani con cui Mulas entra in contatto, due in particolare hanno un ruolo emblematico: Duchamp e Calder. Il primo, non a caso, è l’artista che Mulas sceglie per il primo capitolo del sopraccitato libro. «Sentivo di trovarmi di fronte a un caso limite, ad una presenza umana di per sé determinante; […] in generale un artista parla con i suoi quadri e con la sua pittura, qui ci troviamo di fronte ad un artista la cui opera tocca la sua punta massima proprio quando smette di dipingere perché quel rifiuto non è che un suo modo perentorio di precisare un concetto, un punto di vista non soltanto sul suo lavoro, ma su tutto quello che stava succedendo in quegli anni».

Con Calder, invece, Mulas instaura una sincera amicizia. Dopo averlo conosciuto a Spoleto, inizia a frequentare lo studio e la casa della famiglia Calder prima a Saché, in Francia, e poi a Roxbury, nel Connecticut. «Dalle foto non doveva trasparire altra intenzione che quella di dichiarare il mio amore per la sua opera e la gioia che mi dava la sua amicizia. Un omaggio totale cercando di cogliere anche l’aspetto fisico, da patriarca un po’ ironico, un po’ burlone». Bellissime le immagini che il fotografo dedica al Cirque del grande scultore.

Ugo Mulas, Eugenio Montale, 1970

Ugo Mulas, Eugenio Montale, 1970

  • © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli.

A partire dal 1970 una grave malattia costringe Mulas a ridurre drasticamente la sua attività di fotografo. Tra i suoi ultimi lavori vi sono il reportage dell’avanguardistica mostra “Vitalità del Negativo” curata da Achille Bonito Oliva, le incantevoli fotografie per il libro Fausto Melotti. Lo spazio inquieto (“Gli altri non sentivano la mia opera ma lui sì!” dichiarò lo scultore), e una serie di “operazioni fotografiche” chiamate Verifiche, che hanno per tema la fotografia stessa, sorta di profonda riflessione, di testamento e summa della sua pratica ventennale. «Può darsi che alla base di queste mie divagazioni ci sia quel bisogno di chiarire il proprio gioco, così tipico degli autodidatti, che essendo partiti al buio, vogliono mettere tutto in chiaro, e conservano rispetto al mestiere conquistato giorno dopo giorno, un certo candore e molto entusiasmo. Ho chiamato questa serie di foto Verifiche, perché il loro scopo era quello di farmi toccare con mano il senso delle operazioni che per anni ho ripetuto cento volte al giorno, senza mai fermarmi una volta a considerarle in sé stesse» spiega l’autore.

Ugo Mulas, Bar Jamaica, Milano, 1953-1954.jpg

Ugo Mulas, Bar Jamaica, Milano, 1953-1954

  • © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli

L’entusiasmo e il candore di certo non sono mai mancati a Mulas, che è stato un testimone e un interprete straordinario, curioso e appassionato del suo tempo. Mai didascaliche né descrittive, prive di retorica o finzione, le sue fotografie non possono essere considerate semplice documentazione ma hanno una propria identità estetica e concettuale e sono il frutto di intensi legami umani e creativi, di sinergie e sintonie. Ci parlano di un uomo che ha voluto ritrarre l’arte nel suo farsi e nel suo evolversi, senza mai smettere di osservare, di capire, di interrogarsi e, soprattutto, senza mai rinunciare alla propria visione.

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