Vedere la realtà, per Giacometti, è aprire gli occhi sul mondo come se questo fosse appena sorto. È inventare uno sguardo nuovo, uno sguardo sbarazzato e pulito dalle convenzioni che sostituiscono il concetto alla sensazione, il sapere al vedere.
Jacques Dupin, La réalité impossible (Maeght éditeur, 1978)
Il dato sul quale Alberto Giacometti si è impegnato lungo il corso della propria carriera è la realtà. Jacques Dupin, importante poeta che ha dedicato all’artista una utile analisi, ce lo introduce con chiarezza: «Nessun artista di questo tempo ha interrogato la realtà con tanta insistenza, furore, e meraviglia». «Ogni cosa e ogni essere umano, interrogati instancabilmente, con l’intensità che Giacometti metteva in ogni gesto e in ogni sguardo, diventavano l’ignoto, l’ignoto per eccellenza, e l’oggetto di un approccio infinito, di uno stupore rinnovato, di una inchiesta inesauribile». Il testo di Dupin si intitola La realtà impossibile. Cosa vuol dire? Cosa possiamo intendere in questo caso e cosa poteva Alberto Giacometti intendere per realtà? La risposta è, di fatto, semplice: la realtà è ciò che noi scopriamo attraverso e dentro la nostra esperienza esistenziale. La realtà è dunque il gatto appoggiato sul davanzale della finestra, la polvere che la ricopre e filtra la luce, la luce stessa, le foglie le fronde gli alberi tutti e il loro verde («Nemmeno Cezanne forse è riuscito a fare questo verde», egli disse una volta, ammirando gli alberi in un viale di Parigi, al suo compagno Isaku Yanahiara che gli dedicò mesi di impegno e collaborazione a posare per lui). Sono, dunque, tutte le cose e gli esseri e i loro volti, il naso, la radice del naso e lo spazio tra gli occhi e i corpi intesi come presenze evanescenti.
Alberto Giacometti, scultore mancato
RSI Cultura 30.10.1963, 16:41
Alberto Giacometti è un artista; questa affermazione può parere tautologica ma è importante per capire che il suo interesse per la realtà è dovuto alla esigenza di rappresentarla. Dal padre Giovanni, pittore importante che aveva dedicato la vita alla passione per l’arte, sodale di artisti come Cuno Amiet (padrino di Alberto) e Ferdinand Hodler (padrino di Bruno Giacometti, il quarto dei figli), egli acquisisce una alfabetizzazione primaria alla espressione artistica. Da bambino, disegna e dipinge in compagnia del padre e insieme al resto della famiglia che tutta vive immersa nell’arte. Dopo una iniziale fase di facilità e di gratificazione, la sua vita incontra una serie di crisi durante le quali egli lavora sulla base della consapevolezza di non essere in grado di rappresentare ciò che vede della realtà.
I Giacometti
Voci del Grigioni italiano 19.01.2024, 19:05
Contenuto audio
Alberto Giacometti si rende infatti conto del proprio dovere di scarnificare la realtà, per quanto possibile, dall’habitus culturale e anche tecnico e di coglierne la struttura per tentare di trasferirla nella rappresentazione, che egli persegue attraverso la scultura, la pittura, il disegno, l’incisione. Il suo atteggiamento è intriso di fenomenologia, esistenzialismo e psicologia della percezione. Di questi settori della riflessione egli aveva piena contezza, essendo vicino agli intellettuali impegnati in quel periodo su quei temi (basti pensare a Michel Leiris, a Jean-Paul Sartre, a Maurice Merleau-Ponty) con i quali intrattenne sempre un confronto; le questioni venivano, all’interno della azione artistica, da lui ricondotte alla concretezza di costruire un oggetto e dargli vita espressiva. Il suo racconto, al quale possiamo attingere direttamente attraverso preziose testimonianze audio e video, è infatti semplice, asciutto, concreto, sincero.
Nel corso del proprio lavoro di riproduzione della realtà egli coglie due dimensioni strutturali e le mette in gioco lasciandocene l’eredità: lo spazio e il vuoto; la solitudine.
Alberto Giacometti, Figurine entre deux maisons, 1950
Il soggetto con il quale noi interagiamo nella nostra esperienza percettiva, esistenziale, si definisce nello spazio e grazie al vuoto che lo circonda. Ne abbiamo una spiegazione nell’opera Figurine dans une boîte entre deux boîtes qui sont des maisons del 1950. Il titolo stesso ci parla di una scatola che è tra due scatole, ma la prima è in realtà lo spazio vuoto e al suo interno noi vediamo la figura. Per definire la forma (di un naso, di un volto, di una mela, di una lampada) l’artista cerca di ricostruire e rappresentare la sua struttura, che emerge dalla relazione rispetto al vuoto che la sostiene.
Disegno di Alberto Giacometti
Lavora producendo grovigli e trame di tratti, nei dipinti o nei disegni; oppure manipolando la materia che scolpisce e costruendo la frastagliatura che costituisce la superficie di molte sculture. La forma si staglia nella trasparenza di Le palais à quatre heures du matin del 1932 o, piatta nello spazio, in alcune sculture del periodo in cui egli era riconosciuto come parte del gruppo surrealista (per esempio Tête qui regarde del 1928).
Elie Lotar
Questa relazione tra il soggetto rappresentato e il vuoto che lo delimita, definisce anche la sua solitudine che va intesa come la sua forza, la sua capacità di resistere alla storia e di aderire alla realtà. Lo vediamo nel Ritratto della madre del 1951, in quello di Eli Lotar e ne Il cane così intensamente concentrato a fiutare il terreno, nel quale Alberto Giacometti riconosceva se stesso.
La PGI ricorda Alberto Giacometti
RSI Cultura 12.06.1973, 11:24