Precursore, icona, genio, uomo giusto al momento/luogo giusto? Semplicemente, Andy Warhol (6 agosto 1928 - 22 febbraio 1987) è stato un artista totale, un uomo dotato di una curiosità onnivora, di un intuito e una creatività sconfinati. Oggi le sue opere, la sua personalità e le sue parole (poche ma incisive e sferzanti) esercitano ancora una forte influenza e restano tremendamente attuali.
Warhol ha raccontato miti e simboli della società consumistica americana meglio di chiunque altro, ma ha anche rivoluzionato la concezione dell’arte, sperimentando con i più disparati mezzi espressivi, azzerando i limiti tra cultura alta e bassa e affermando che anche l’arte deve essere consumata, come gli altri beni.
I see everything that way, the surface of things, a kind of mental Braille, I just pass my hands over the surface of things. I think of myself as an American artist. [...] I represent the U.S. in my art but I'm not a social critic: I just paint those objects in my paintings because those are the things I know best. I'm not trying to criticize the US in any way, not trying to show up any ugliness at all: I'm just a pure artist, I guess (The Selected Andy Warhol Interviews, 2009).
Dai sobborghi di Pittsburgh alla Grande Mela
Andrew Warhola, questo il nome di battesimo dell’artista, che nasce il 6 agosto 1928 in un quartiere operaio di Pittsburgh, Pennsylvania, terzogenito di una coppia di immigrati slovacchi. Colpito fin dalla tenera età da un disturbo neurologico, il piccolo Andy trova sollievo nel mondo dei fumetti, nelle riviste di celebrità e nel disegno. Grazie al supporto della famiglia, che ne intravede la precoce indole creativa, Warhol studia arte pubblicitaria al Carnegie Institute of Technology di Pittsburgh, laureandosi nel 1949. Quindi, si trasferisce a New York in cerca di sbocchi professionali. La Grande Mela sembra fatta apposta per lui: fortuna e lavoro non tardano ad arrivare, grazie a importanti incarichi come illustratore pubblicitario per clienti quali Columbia Records, Harper’s Bazaar, Vogue e Tiffany & Co. Nel 1952 arriva anche la prima mostra personale alla Hugo Gallery, con la serie Fifteen Drawings Based on the Writings of Truman Capote.
Fin da subito Warhol dimostra, accanto a un innato talento artistico, una spiccata attitudine imprenditoriale, autopubblicando numerosi libri d'artista nel corso degli anni ’50. Scriverà nel 1975 in The Philosophy of Andy Warhol (From A to B & Back Again), arguta raccolta di citazioni e pensieri: Being good in business is the most fascinating kind of art. Making money is art and working is art and good business is the best art.
Nel vortice della Pop Art
Gli anni ’60 sono prolifici per il giovane e intraprendente Warhol, che si immerge pienamente nella corrente emergente della Pop Art. È in questo periodo che l’artista dà vita ad alcune delle sue opere più celebri e iconiche, appropriandosi e rielaborando le immagini della cultura pop. Nel 1962 nascono le sue prime stampe serigrafiche che ritraggono celebrità dell’epoca come Marilyn Monroe, Elvis Presley, Elizabeth Taylor, ma anche la memorabile opera Campbell’s Soup Cans, 32 tele raffiguranti tutte le varietà dei barattoli di zuppa Campbell allora in commercio. È la fine dell’esecuzione manuale e della unicità dell’opera, l’apoteosi dell’ordinario, l’elogio della ripetizione e della serialità. Perché ritrarre i barattoli di zuppa Campbell? Non volevo dipingere niente. Cercavo qualcosa che fosse l’essenza del nulla, dichiara l’artista.
Seguono i One Dollar Bills, le Green Coca-Cola Bottles, la serie Death and Disasters, basata su immagini riguardanti incidenti stradali, suicidi e sedie elettriche tratte da quotidiani e riviste. Quando guardi molte volte un’immagine raccapricciante, questa non ha più alcun effetto, un’affermazione oggigiorno più vera che mai. Glamour e morte, celebrità e solitudine, edonismo e fallimento, utopia democratica e ingiustizia sociale: i sogni e gli incubi dell’America moderna si avvicendano nelle opere di Warhol.
Cinema e musica Underground
Ma una personalità esuberante e poliedrica come quella di Andy Warhol non può certo fermarsi alle serigrafie: l’impronta warholiana ha segnato anche il mondo del cinema. Acquistata una cinepresa Bolex 16mm, l’artista realizza tra il 1963 e il 1968 diversi film sperimentali: la prima prova è Sleep, oltre cinque ore di girato che mostrano il poeta John Giorno mentre dorme, seguono Empire, ritratto di otto ore dell’Empire State Building, e poi Kiss, Eat, Blow Job, tutti lavori caratterizzati da azioni ripetute dilatate nel tempo, riprese con una camera fissa. E ancora, l’acclamato Chelsea Girls, girato nel leggendario Chelsea Hotel e in altri luoghi di New York, compresa l’argentata Factory, il mitico studio di Warhol dove gravitano talenti eccentrici e ribelli, bohémien e sbandati: dallo stretto collaboratore Gerard Malanga all’amica e musa Edie Sedgwick, da William S. Burroughs a David Bowie, da Mick Jagger a Truman Capote, solo per fare qualche nome.
Tra i lavori più interessanti di questo periodo non si possono dimenticare gli oltre 500 Screen Tests, brevi film muti e in bianco e nero, sorta di ritratti viventi raffiguranti amici e personaggi di spicco del periodo, tra cui Bob Dylan, Lou Reed, Allen Ginsberg e Nico. Alla base c’è la fascinazione di Warhol per queste personalità, il desiderio di catturare la loro essenza.
E poi c’è la musica: Warhol sostiene e collabora con diversi gruppi e musicisti, primi fra tutti i Velvet Underground, per i quali disegna la celebre copertina dell’album d’esordio e con cui realizza la spettacolare opera multimediale itinerante Exploding Plastic Inevitable. Più avanti firmerà anche la copertina di Sticky Fingers dei Rolling Stones e girerà un videoclip per l’allora giovanissima Loredana Bertè. Insomma, qualsiasi incontro, stimolo, pensiero od oggetto viene trasformato in arte da Warhol. Il mio stile è sempre stato quello di estendermi, in ogni campo, più che salire. Per me la scala del successo è più laterale che verticale.
L'incidente, la maturità, la morte
If you want to know all about Andy Warhol, just look at the surface of my paintings and films and me, and there I am. There’s nothing behind it, così nel 1966 Warhol parla della sua arte e della sua vita, così indissolubilmente intrecciate. Nel giugno 1968, però, avviene un fatto tremendo: la scrittrice femminista Valerie Solanas spara a Warhol e al suo compagno di allora, Mario Amaya, all’ingresso della Factory. I due sopravvivono, nonostante le gravi ferite riportate, ma l’evento turba profondamente Warhol, cambiandogli la vita. Da questo momento in poi, l’artista limita le apparizioni pubbliche e documenta ancor più ossessivamente tutto quanto gli accade, attraverso un registratore audio (definito da lui stesso “sua moglie”) e una macchina Polaroid, oltre a conservare tracce della sua esistenza con le Time Capsule, scatole colme di memorie del suo quotidiano, frammenti di tempo (ne realizzerà più di 600).
L’attività artistica di Warhol, ad ogni modo, è più vulcanica che mai, sconfinando in numerosi ambiti: fonda la rivista Interview Magazine; realizza pionieristiche opere, per esempio il ritratto digitale della cantante Debbie Harry, con l’Amiga 1000, il primo personal computer multimediale; produce format televisivi per MTV; collabora con i giovani artisti Jean-Michel Basquiat, Francesco Clemente e Keith Haring, che lo considerano alla stregua di un guru; frequenta lo Studio 54 e riceve numerose richieste di ritratti su comissione; crea alcune delle opere più interessanti della sua carriera, come le serie Skulls, Guns, Camouflage, Mao e The Last Supper. Anche un capolavoro inestimabile come L’Ultima Cena di Leonardo da Vinci diventa un prodotto, al pari della zuppa Campbell. È proprio con il controverso e monumentale ciclo che rivisita il Cenacolo Vinciano che Andy Warhol si congeda dal mondo: muore a soli 59 anni a New York, a causa delle complicazioni sorte a seguito di un intervento chirurgico. Vorrei una pietra tombale senza iscrizioni di sorta. Nessun epitaffio, neppure il nome. Anzi no, mi piacerebbe che fosse scritto sopra finzione, così Warhol sdrammatizza la morte, di cui ha terribilmente paura.
Anticonformista e disincantato, nevrotico e carismatico, Warhol non solo ha lasciato un segno indelebile nella cultura del Ventesimo secolo, ma ha anche precorso i tempi come pochi hanno saputo fare, decenni prima di Instagram, influencer, fake news, assuefazione visiva e bombardamento mediatico. Continuando a ispirare generazioni di artisti, filmmaker e designer, la sua figura è più sfolgorante che mai, a oltre 30 anni dalla sua dipartita, e continua a riservare sorprese.
Ci sono stelle cadenti e altre, invece, luminosissime e inestinguibili. Andy Warhol è una di queste ultime. Di sicuro, la sua acuta predizione secondo la quale “nel futuro ognuno sarà famoso al mondo per 15 minuti” nel suo caso è andata ben oltre tale soglia.