Arte

Arte espansa

Oltre il confine di un nome

  • 3 marzo 2022, 00:00
  • 31 agosto 2023, 11:26
Richard Serra’s Torqued Ellipse II

Richard Serra’s Torqued Ellipse II

  • Keystone
Di: Valerio Abate
Si apre dinanzi a noi un orizzonte artistico sconfinato. Qualsiasi cosa può essere qualificata come arte, non importa se naturale o artificiale, organica o inorganica, reale o virtuale, materiale o spirituale... trovata o costruita, fatta o anche solo pensata.

Mario Perniola, L’arte espansa, Einaudi 2015.

I canoni dell’arte occidentale delineatisi a partire dal Rinascimento sono stati scardinati più di cent’anni fa, e in quest’ultimo secolo l’arte ha conosciuto un continuo rinnovamento del tutto inedito nella storia. La sperimentazione sfrenata, che nel secondo Novecento era spinta dalla mitizzazione delle avanguardie, è cessata ormai da qualche anno, e con l’esaurirsi della corsa a cambiare sono stati non solo i canoni, ma anche il significato di arte. Tuttavia questo cambiamento non ci ha consegnati a un nuovo mondo dell’arte chiaro e ben delineato, anzi ci ha consegnati a un’enorme libertà che ha permesso da un lato lo stabilirsi delle regole della mera speculazione finanziaria, dall’altro un radicale cambio del paradigma culturale.

Molta della critica d’arte si è declinata in pubblicità (meglio quando scandalistica), le trovate mediatiche sulle quali speculare vanno a braccetto con operazioni prive di spessore culturale, facili e veloci da realizzare e da consumare affinché si crei posto per i nuovi arrivi, e l’opinione pubblica si chiede perché dovrebbe dare credito a un mondo che, già da solo, non si prende sul serio. Negli ultimi anni le possibilità si sono moltiplicate tanto che chiunque può definirsi artista senza che nessuna autorità competente abbia dato un solo giudizio. Quasi nessuno di questi artisti è in grado di formulare una poetica, le interviste hanno sostituito quelli che all’epoca delle avanguardie erano i manifesti, i quali, svuotati dei loro contenuti originali divengono puri strumenti di promozione dell’artista. Come l’emblematico caso della Saatchi Gallery di Londra che lancia sul mercato migliaia di artisti senza alcuna formazione accademica. Chiaramente una trovata finanziaria, che però ha inflazionato non solo il mercato, ma anche il nome di artista.

Si potrebbe anche dire che quest’epoca non ha fatto tanto opere, quanto artisti che facevano arte o anche anti-arte.

Mario Perniola, L’arte espansa, Einaudi 2015.

La dimensione conoscitiva dell’arte rinascimentale espressa da Leonardo è stata soppiantata dalla dimensione eroico-romantica, la quale ha declinato la figura dell’artista in divo (gli ultimi bagliori di questa idea di artista si ebbe con le avanguardie moderniste). Ma dopo il suo estremo innalzamento questa figura sembra ora essere destinata a scomparire nella moltitudine, giacché la celebre frase di Beuys «Ogni uomo è un artista» è stata osservata alla lettera.

Tuttavia, vi sono luoghi in cui l’arte espansa ha mostrato anche aspetti interessanti. Penso in particolare alla Biennale di Venezia del 2013 dove “Il Palazzo Enciclopedico”, curato da Massimiliano Gioni, ha destabilizzato il mondo dell’arte assai più radicalmente di quanto non abbia fatto la Saatchi Gallery. Qui vi è stato un cambio di paradigma di ciò che finora è stato considerato arte. L’approccio critico non è stato più quello analitico (contrapponendo una visione artistica ad un’altra), ma sintetico. Nella Biennale infatti è stato possibile includere figure come Carl Gustav Jung con Il libro rosso e Rudolf Steiner con i suoi disegni; alcuni erano artisti, altri invece non sapevano di esserlo né lo volevano. E accanto al design e alla calligrafia, alle pitture esoteriche e alle bandiere vudù, erano presenti artisti riconosciuti e pienamente legittimati come Richard Serra, Walter De Maria, Carl Andre, Cindy Sherman.

Nella Biennale successiva Okwui Enwezor ha cercato di porre un freno alla provocazione destabilizzante di Gioni. Ristabilendo un ordine e convocando solo artisti internazionalmente riconosciuti da critici, storici e professori, ossia figure culturalmente e artisticamente legittimate, Enwezor ha voluto dare un chiaro messaggio: i criteri legittimanti esistono. Ma il vaso ormai era stato aperto: ogni cosa può essere arte. E se ogni cosa può essere arte, allora nulla lo è. «La morte dell’arte» ipotizzata da Hegel trova così il suo compimento.

Capolavoro? Questo sconosciuto...

Geronimo 09.09.2010, 02:00

  • Keystone

E in un certo senso è davvero così, il nome di arte come è stato inteso per cinque secoli è morto. E allora o si smette di usare la parola arte oppure, come sta avvenendo, si amplia la sua portata. Ciononostante il cammino intrapreso non è ancora chiaro, per avere la facoltà di attribuire il nome di arte a qualcosa bisogna presupporre di sapere cosa sia l’arte, o perlomeno sapere quali siano i suoi muri portanti.

L’arte degli ultimi 150 anni manifesta quel disagio tra libertà e smarrimento che accompagna tutta la cultura secolarizzata. L’arte si è aperta al mondo intero perdendo non solo i confini europei (che aveva nel Rinascimento, epoca in cui nulla era arte se non l’arte europea) ma anche la distinzione tra alto e basso, e si mostra divisa in molteplici frammenti anche tra loro contraddittori. Così, accanto all’oggetto d’arte contemplativo, possiamo trovare l’arte intesa come azione, tanto affine al rituale, alla magia e all’alchimia, alla cura dell’anima e allo sciamanesimo. E il gruppo Gutai che reinterpreta in chiave artistica le fotografie di Pollock mentre realizza i suoi quadri non può più sembrarci una stranezza, ma un caso emblematico che ci insegna come il fraintendimento tra due culture tradizionalmente estranee permetta di vedere qualcosa che altrimenti sarebbe rimasto ignorato. È questo l’ampliamento dell’arte che oggi dilaga accanto alla pratica dell’appropriazione avviata da Duchamp, è quell’ampliamento che abbiamo iniziato a scorgere alla fine dell’Ottocento con le influenze dell’arte giapponese e africana, e qualche decennio dopo con l’arte dei casi psichiatrici e infantile, per non parlare delle influenze tecniche come l’avvento della fotografia e del cinema e della reciproca influenza fra tutte le arti e le discipline. I confini dell’arte e tra le arti si assottigliano, divisioni secolari si dissolvono per ritrovare una mescolanza primordiale.

Non esiste un “mondo dell’arte”, ma molti mondi dell’arte che si sovrappongono e s’influenzano reciprocamente.

Mario Perniola, L’arte espansa, Einaudi 2015.

Il mondo si è ampliato annettendo ogni popolo nella rete globale. Non esiste cultura che non abbia praticato qualcosa di assimilabile all’arte. L’arte è un frutto che nasce e matura in ogni parte del mondo. E oggi abbiamo la fortuna di vedere la maschera yoruba di un dio, la casa di riunione dei Maori, la calligrafia cinese, la cerimonia del tè e l’artigianato zen, il mandala di sabbia tibetano... possiamo magari fraintenderne i sensi e non coglierne gli strati più profondi, ma ne usciamo ugualmente fecondati. Tutte queste pratiche lasciano delle forme concrete, giacché ognuna è un atteggiamento alla vita.

Questi confronti ci ribadiscono l’idea che l’arte non può essere né solamente l’oggetto in quanto opera d’arte né la mera comunicazione: troppo si è ampliata la portata del suo nome perché possa ridursi a una sola cosa. E anche se il mondo dell’arte dominante rimane sotto l’imperio dello spettacolo e del denaro, qua e là vi sono angoli nei quali si coltiva la conoscenza e una certa qualità del fare e del criticare l’arte. Luoghi in cui si è capito che il lasciarsi definire non è nella natura dell’arte. Perché alla fine per quanto vaga sia, l’arte può ancora essere ciò che, secondo il celebre motto di Robert Filliou, rende la vita più interessante che l’arte stessa.

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