Milano, 1962. Il cortile più bello. Così recita il titolo di una fotografia scattata da Carlo Orsi all’inizio della sua carriera. Mostra un bimbo che corre felice scansando, o più probabilmente rincorrendo, alcuni piccioni che sostano sul selciato. Il “cortile” in questione è piazza Duomo. Si tratta di un’immagine semplice e sobria, eppure estremamente eloquente e traboccante di vita. Carlo Orsi ha poco più di vent’anni quando realizza questo scatto, e potremmo dire che in quel bambino vivace ripreso di spalle c’è anche un po’ di lui. È un giovane promettente, curioso e desideroso di affermarsi, il mondo della fotografia gli ha appena spalancato le porte, e quella piazza, che è il cuore della sua città, si ritroverà ad attraversarla innumerevoli volte con la sua Leica sempre pronta a scattare. Siamo nei primi anni Sessanta e, mentre Enzo Jannacci canta Milano attraverso brani malinconici e sinceri come Ti te sé no ‒ «a ‘rivà giò in piazza del Dòmm ghe voeuren dù tram […] gh’è pien de lus che par vess a Natal» ‒, Carlo Orsi percorre il capoluogo lombardo in lungo e in largo per catturarne luoghi e abitanti, luci e ombre, bellezze e miserie, attraverso immagini in bianco e nero schiette e intense. Come quelle che troviamo nell’ampia mostra “Miracoli a Milano. Carlo Orsi fotografo”, allestita a Palazzo Morando fino al prossimo 2 febbraio. Gran parte dei 140 lavori esposti, quasi tutti provenienti dall’Archivio Carlo Orsi, sono dedicati a Milano, casa e musa del fotografo, ma vi sono anche i ritratti fatti a numerose personalità del secondo Novecento, i tanti reportage in giro per il mondo e i progetti realizzati per la moda e la pubblicità. È un percorso espositivo composito, che restituisce non soltanto la versatilità di Carlo Orsi, ma anche la sua capacità di adottare un approccio anticonvenzionale e genuino in ogni ambito, mantenendo sempre uno stile preciso e riconoscibile.
«Cosa c’è, cosa troviamo, nelle fotografie di Carlo Orsi? Milano, sempre, anche se lo scatto inquadra uno spicchio di Pechino, un ragazzino che impara l’arte della corrida in Spagna, il cielo magnifico della California. Milano, ma certo, dove ha imparato a cogliere, inquadrare, dentro un’epoca in cui questa città insegnava a guardare» scrivono a tale proposito i curatori Giangiacomo Schiavi e Giorgio Terruzzi nell’accurato catalogo pubblicato in occasione della mostra.
Carlo Orsi nasce nel 1941 nel cuore di Milano, in via Solferino 8, a metà strada fra la sede del Corriere della Sera e il noto bar Jamaica, due luoghi che giocheranno un ruolo importante nella sua formazione e carriera. Giovanissimo, Carlo Orsi individua nella fotografia la sua strada. Sa che non sarà un percorso facile ma è mosso da una grande passione e da tanta buona volontà. Tutte le notti, si reca alla sede del Corriere per prendere le prime copie fresche di stampa e vedere quali sono le notizie del giorno, i fatti sui quali puntare il suo obiettivo. Così, viene colpito dalla notizia di un uomo italiano, arruolato nella Legione straniera, condannato alla pena di morte in Francia e dell’anziana madre che ha chiesto la grazia al presidente de Gaulle. Carlo Orsi non perde tempo, salta sulla sua Lambretta e si reca dalla donna. Un letto, due vecchie mani, una pagina di giornale che titola “Cara mamma, sarò fucilato”: ecco il primo vero scatto di Orsi. È il 1958, ha solamente diciassette anni ma il suo acume e la sua intraprendenza si fanno notare. Come spesso accade, certi incontri fortuiti sono portatori di svolte impreviste: nel caso di Carlo Orsi, un primo incontro determinante è quello con Fedele Toscani, fotografo del Corriere e padre di Oliviero, che affida al giovane Orsi alcuni lavori per la sua agenzia, la Rotofoto. C’è poi l’incontro con lo scrittore e giornalista, Domenico Porzio, che lo invita a collaborare con la rivista Oggi. Ma è soprattutto l’incontro con il fotografo Ugo Mulas, in quel bar Jamaica che è un crogiolo incandescente di menti, idee, visioni, personalità e sogni, ad agire da ulteriore propulsore nella carriera di Orsi. Per qualche tempo, diventa assistente di Mulas, apprendendo da lui in particolare i segreti della camera oscura e la raffinata tecnica della stampa in bianco e nero, insegnamenti di cui Orsi farà tesoro, occupandosi sempre personalmente della stampa delle proprie immagini.
Carlo Orsi, Milano, 1999. Campagna Krizia
Nel corso degli anni Sessanta, Carlo Orsi fotografa la sua Milano instancabilmente, la vede evolversi, ne ritrae i tanti ineluttabili contrasti. Ecco piazza Duomo nella sua veste serale, illuminata dalle tante insegne che reclamizzano l’ultimo orologio o la bibita più dissetante, ecco l’ombra imponente del Pirellone, e poi i concerti in trattoria, gli spazzini che si recano al deposito, l’uomo che accende i lampioni, la stazione centrale affollata nel giorno di Ferragosto, con il treno per Reggio Calabria preso d’assalto, e ancora i tiri alla bocciofila, gli operai in pausa pranzo che si apprestano a consumare la propria “schiscetta”. Cambiando continuamente prospettiva, Carlo Orsi non si accontenta di immagini scontate. Così, per esempio, quando nel 1965 è al Vigorelli per immortalare lo storico concerto dei Beatles, mentre gli altri fotografano i quattro baronetti frontalmente, lui sta sul retro del palco e li coglie di spalle mentre si inchinano al pubblico.
Da questo straordinario lavoro di documentazione e perlustrazione del capoluogo meneghino nasce nel 1965 un libro fotografico, Milano, in cui gli scatti di Orsi sono accompagnati dai testi di Dino Buzzati. Volume che negli anni è diventato rarissimo, citato quale riferimento da molti fotografi, tra cui Martin Parr. In copertina vi è la celebre fotografia del vigile urbano ‒ il “ghisa” ‒ con la divisa bianca alla fermata “Duomo” della metropolitana. Un’immagine che è sintesi emblematica di un tempo e di un luogo e che non cessa di affascinare per la sua naturalezza e il suo humour lieve.
Nel corso dei decenni successivi, Carlo Orsi continua a osservare e ritrarre la sua città, omaggiandola con un secondo volume, pubblicato nel 2015, stavolta con testi di Aldo Nove. L’amore per la sua Milano dà origine nel 1997 anche a una peculiare rivista, Città, che Orsi fonda insieme a sua moglie Silvana Beretta e a un gruppo di amici.
Carlo Orsi, Milano, 1965. Metropolitana in bianco e nero
Agli scatti milanesi, naturalmente, si affiancano anche numerosi reportage in tutto il mondo, dedicati a eventi epocali, come la caduta del muro di Berlino, e, dal 2004, al prezioso lavoro di medici, infermieri e volontari operanti in diversi Paesi in via di sviluppo, nell’ambito del progetto Interplast, che ha il fine di curare pazienti con gravi malformazioni e traumi del volto.
Oltre ad affermarsi come talentuoso reporter, Carlo Orsi eccelle anche nel settore della moda e della pubblicità, firmando negli anni numerose campagne per prestigiosi marchi. Senza dimenticare i tantissimi ritratti: per lui posano grandi artisti del secondo Novecento (Arnaldo Pomodoro, Lucio Fontana, Emilio Tadini, Jannis Kounellis, Mario Schifano…), musicisti (Luciano Pavarotti, Gino Paoli, Mina…), personalità del cinema e dello spettacolo (Mariangela Melato, Dario Argento, Dario Fo…). In ciascun lavoro, a prescindere dall’ambito, sono il suo stile anticonformista e la sua spontaneità a emergere, accompagnati sovente da una sottile irriverenza. Come dichiara il critico Roberto Mutti, tra le principali doti di Orsi vi è la «consapevolezza che prima di scattare, operazione in fin dei conti piuttosto semplice, occorre guardare, osservare, riflettere, girare attorno agli oggetti, studiare i problemi, incontrare le persone, farsi trascinare dalle sensazioni, insomma annusare la vita».
Scomparso nel 2021 a ottant’anni, Carlo Orsi ci ha lasciato non soltanto un patrimonio sterminato (120mila i negativi conservati nel suo archivio) ma anche un lungo, avvincente racconto di Milano, e non solo. «Macché artista, sono un semplice artigiano» diceva di sé. Un artigiano che ha dedicato tutta la sua vita alla fotografia, con una passione e una determinazione incrollabili.
Viaggio in Italia
Voci dipinte 22.12.2024, 10:35
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