Arte

Dannata progenie

Il teatro di Wajdi Mouawad

  • 16 giugno, 14:10
Mouawad
Di: Daniele Bernardi

All’apertura del testamento della madre, i gemelli protagonisti di Incendi (Titivillus, 2009) scoprono improvvisamente di avere un papà ancora in vita ed un fratello del quale ignoravano l’esistenza. La notizia li investe come una burrasca, scatenando in Jeanne la volontà di sapere e in Simon un istintivo rifiuto dettato da un vissuto difficile, che lo ha visto, assieme alla sorella, essere figlio di una donna da cui non si è sentito amato.

La rabbia di quest’ultimo raggiunge l’apogeo quando Hermile Lebel, il notaio incaricato delle pratiche, gli rivela la condizione imposta loro dalla donna affinché possa esservi degna sepoltura: «L’infanzia è un coltello piantato in gola. Non lo si toglie facilmente», recitano le ultime volontà di Nawal (questo il nome della figura centrale del dramma). «Jeanne, (…) Lebel ti darà una busta. Questa busta non è per te. È destinata a tuo padre. Il tuo e quello di Simon. Ritrovalo e dagli questa busta. Simon, (…) Lebel ti darà una busta. Questa busta non è per te. È destinata a tuo fratello. Il tuo e quello di Jeanne. Ritrovalo e dagli questa busta. Quando queste buste saranno consegnate ai loro destinatari, vi sarà data una lettera, il silenzio sarà rotto e una lapide potrà essere posta sulla mia tomba».

Inizia così da parte dei due – ma sempre in compagnia di Lebel, fedele testimone della volontà della defunta – un viaggio verso l’ignoto della propria origine dal sapore sofocleo, che immediatamente ci conduce al racconto di Edipo e a quella sorta di sentenza invisibile che ciascuno porta come tatuata sulle spalle; un’odissea che dal pacifico Canada va al Libano in guerra, andando a ritroso nel tempo attraverso continui flashback e rivelazioni sempre più tremende.

Da questa celebre pièce, nel 2010 Denis Villeneuve realizzava un bellissimo lungometraggio – interpretato da Lubna Azabal, Mélissa Désormeaux-Poulin, Maxim Gaudette, Rémy Girard e Abdelghafour Elaaziz – nominato agli Oscar del 2011 come miglior film straniero. Allora Wajdi Mouawad, scrittore, regista, attore e creatore del testo, oltre che una ricca produzione drammaturgica e un importante percorso da direttore artistico, aveva alle spalle già numerosi riconoscimenti, per i quali era identificato fra gli autori più interessanti degli ultimi decenni. Nel presentare la traduzione italiana del suo Tous des oiseuax (Leméac Éditeur, 2018) oggi Einaudi lo definisce, non a torto, «uno degli uomini di teatro più importanti al mondo».

Wajdi Mouawad, sur scène. | ARCHIVES NICOLE BALLON.

Ideatore di un teatro in cui la Storia non si riduce a cruda cronaca ma, attraverso un’autentica assimilazione del mito, giunge a una sua espressione universale di matrice strutturalmente tragica, Mouawad è nato in Libano nel 1968, per poi fuggire con la famiglia in Francia e, successivamente, in Canada, dove si è formato all’École nationale de théâtre. Diplomatosi nel 1991, ha codiretto la sua prima compagnia: il Théâtre Ô Parleur. Da allora Mouawad ha fondato altri gruppi, scritto e diretto spettacoli, artisticamente gestito il Théâtre de Quat’Sous di Montréal, il Théâtre français du Centre national des Arts d’Ottawa e ricoperto cariche importanti. Dal 2016 è stato infine nominato direttore artistico de La Colline - théâtre national di Parigi, dove ancora lavora.

Nel suo percorso sul palcoscenico Mouawad ha affrontato numerosissimi testi, spaziando dai classici ai contemporanei, dagli autori teatrali ai romanzieri, ma sono certo le peculiarità delle sue qualità di scrittore ad aver fatto della sua produzione drammatica un punto di riferimento internazionale, che ha traghettato le sue opere in venti lingue facendole rappresentare ovunque; fra i suoi titoli, ricordiamo Littoral, Forêts e Ciel(s), tutti facenti parte, con Incendi, della sua «tetralogia della memoria».

Il caso dell’allestimento di Come gli uccelli – versione einaudiana a cura di Monica Capuani del sopraccitato Tous des oiseaux – recentemente andato in scena presso il Teatro Fontana di Milano per la regia di Marco Lorenzi (Il Mulino di Amleto) è buon esempio di quanto la cifra artistica di Mouawad sappia perfettamente scalfire la nostra contemporaneità, facendosi largo nelle crepe della storia recente (anzi, presente) come farebbe un rampicante sullo scheletro di un albero spoglio.

Eitan, protagonista del dramma assieme Wahida, è un giovane genetista tedesco di origini israeliane che si innamora di una ragazza palestinese alle prese con una tesi su un diplomatico marocchino del XVI secolo. I due si incontrano in una biblioteca di New York, dove le loro differenze si rivelano non solo limitate alle culture di provenienza, ma pure ai modi di essere: infatti Eitan legge il mondo attraverso gli occhi della scienza, mentre Wahida interroga la parola e il tempo. Eppure, tra i due, si innesca un processo che non si può fermare.

Ma quando Eitan si decide a presentare la ragazza ai genitori, le cose non vanno come sperato. Il padre, un ebreo ortodosso cresciuto in Germania da quando era piccolo, si oppone alle nozze perché vede in questa unione un tradimento delle proprie radici da parte del figlio. Eitan, per contro, rimane inorridito al punto da rifiutarsi di credere che quello che ha di fronte sia davvero suo padre. Così, istintivamente, quasi senza sapere il perché, trafuga dalla tavola da pranzo le posate del genitore per fare un test del DNA. Ecco che allora, esattamente come in Incendi, si dispiega l’enigma, poiché ciò che scopre non è di non essere figlio del padre, quanto che questi non è figlio di suo nonno.

Come gli uccelli

Scenograficamente strutturato attorno alla sola presenza di un grande muro che, man mano che si procede, nel corso della rappresentazione riporta alla memoria le molte cinte che fendono la Storia come una ferita insanabile – dal muro di Berlino alla barriera tra Israele e la striscia di Gaza – l’accurata versione di Come gli uccelli di Marco Lorenzi trova, naturalmente, una drammatica risonanza negli accadimenti recenti, poiché attraverso le belle, dolorose parole di Mouawad – sì, c’è molta bellezza nella sua scrittura – e un cast di bravi attori di diversa nazionalità il regista suggerisce ciò che i classici shakespeariani ci dicono impietosamente da tempo. E cioè che è nel nucleo originario che la guerra ha origine. È nella famiglia che ha luogo il rovescio dell’amore a cui è possibile – possibile, non sicuro – sopravvivere solo attraverso un’estenuante percorso di conoscenza della propria dannata progenie.

“Come gli Uccelli”

Alphaville 31.01.2024, 18:05

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