Arte e Spettacoli

Diabolik

Il Re del Terrore

  • 04.11.2022, 10:40
  • 25.10.2023, 15:36
Diabolik
Di: Michele Serra 

L'anima di Diabolik è francese, si sa. Clerville, del resto, è vicino a Marsiglia. Che poi non è quella Marsiglia, ma un'altra, diranno i fan. La geografia della città e della nazione diabolikiana è multiforme e sfuggente come il suo criminale più famoso: non c'è da fidarsi. Ma Diabolik è indiscutibilmente transalpino nell'anima, perché figlio del feuilleton, che insieme al cinema è il tesoro più importante lasciato alla cultura popolare europea dai francesi.

Dal feuilleton alla modernità, le origini letterarie di Diabolik
I primi tre numeri di Diabolik, è noto, altro non erano che un adattamento a fumetti del primo romanzo di Fantômas, protagonista di qualcosa come dodicimila pagine di avventure scritte in soli due (!) anni dal giornalista Pierre Souvestre e dal suo segretario Marcel Allain, tra il 1911 e il 1913 (si dice che i due scrivessero un capitolo a testa, senza pianificare una trama precisa prima, chiudendo ciascuno con un cliffhanger che sarebbe stato compito dell'altro risolvere). Fantômas – a sua volta ispirato a Zigomar di Léon Sazie, pubblicato sul quotidiano Le Matin a partire dal 1909 – era il prodotto di maggior successo dell'ultima ondata del feuilleton, che occupava lo spazio culturale che in seguito sarebbe stato dominato dal fumetto, e oggi dalla serialità televisiva: una narrazione a puntate capace di coinvolgere un pubblico enorme. Dominazione lunga quasi un secolo, quella del feuilleton, capace di portare la narrativa nelle case di tutti, anche di coloro per i quali l'acquisto di un libro poteva apparire un lusso: quando nel 1836 Honoré de Balzac consegnò al giornale parigino La Presse la prima puntata delle dodici che componevano il suo romanzo breve La Vieille Fille (tradotto in italiano con La signorina Cormon, gentile rispetto al più corretto “La zitella”), diede il via senza saperlo alla rivoluzione che avrebbe portato a un allargamento del pubblico senza precedenti, e soprattutto alla nascita del racconto “di genere”, ancora oggi alla base di gran parte dell'offerta dell'industria culturale. E dunque, sì: Diabolik è figlio (nipote, pronipote) di una ricca zitella francese, come gran parte della narrativa che abbiamo letto o guardato nell'ultimo secolo. Ma c'è, ovviamente, di più.

Il documentario Diabolik, realizzato nel 2019 da Giancarlo Soldi
L'unicità di Diabolik all'interno della cultura italiana non può infatti essere ridotta a quella di una semplice imitazione di modelli stranieri. Cosa che effettivamente Diabolik era: imitazione degli antieroi del feuilleton, ripetizione di luoghi comuni della pulp fiction americana, per non parlare dei tanti ladri più o meno gentiluomini che avevano popolato la narrativa europea tra Ottocento e Novecento. E ancora, Rudyard Kipling, visto che nel celebre numero Diabolik, chi sei? del 1968 viene svelato che il Re del Terrore fu vittima di un naufragio in tenera età, e salvato dal mare venne cresciuto su un'isola da un gruppo di criminali agli ordini di un malavitoso internazionale, King: non sarà proprio Il libro della giungla, ma quasi.
Quello che fa la differenza in Diabolik è però il suo tempismo, come sempre, per ogni criminale che si rispetti.

copertina numero 107

Diabolik, copertina n.107

1962: la rivoluzione Diabolik
La carica rivoluzionaria di Diabolik sta proprio nell'arrivare sul mercato italiano all'inizio degli anni Sessanta: decennio di cambiamento, certo, ma ancora tutt'altro che compiuto. Nel novembre 1962, la società italiana è ancora Dio, patria e famiglia – come scrive giustamente il semiologo Daniele Barbieri nel saggio pubblicato sull'ultimo numero di Linus tutto dedicato a Diabolik – e i fumetti sono ancora roba da bambini. Angela (in percentuale lievemente maggiore) e Luciana Giussani cambiano il mondo con una piccola idea, nata nel quartiere di Milano vicino alla stazione ferroviaria di Piazzale Cadorna. Lì le due sorelle vedono passare, ogni giorno, centinaia e centinaia di lavoratori pendolari, che si spostano tra la città e i paesi intorno al capoluogo. Tutti leggono, tutti hanno bisogno di qualcosa di pratico da sfogliare. Dunque, ecco l'idea: un fumetto di formato più piccolo rispetto ai Bonelli che dominavano il mercato, in modo che fosse ancora più facile metterlo nella tasca della giacca una volta finito di leggerlo. E soprattutto, nasconderlo. Perché ai tempi gli adulti non leggevano fumetti, tantomeno uno che nella tradizionale distinzione dell'epoca tra cultura alta e bassa occupava fieramente i gradini più bassi della scala. Invece, con un successo che sorprese per prime le sorelle Giussani, Diabolik passa dal fiasco del primo numero a vendere trecentomila copie a numero (prima mensile, poi quindicinale), nonostante i numerosi tentativi di censura e quelli ancor più numerosi di imitazione (perfino di fattura migliore, come Kriminal e Satanik). Ovviamente non è solo una questione di formato, ma come sempre in questi casi, è difficile individuare una causa precisa per un tale successo. Forse la passione del pubblico italiano per i casi mediatici di cronaca nera, che in quegli anni era (ed è ancora oggi, a dire il vero) fortissima? O forse il fatto che il cruciale ribaltamento etico del protagonista criminale non era mai stato spinto alle conseguenze estreme incarnate da Diabolik? Diabolik spara, taglia gole, inganna, uccide. E poi scappa nella notte sulla sua auto sportiva, via a godersi il lusso con Eva, donna (ma non moglie, particolare non da poco!) trofeo e allo stesso tempo complice alla pari, così da andare incontro in qualche modo ai desideri di lettori e lettrici insieme.

Diabolik, dal film di Mario Bava del 1968

"Diabolik", film di Mario Bava del 1968

Nel periodo in cui Diabolik diventa una star del fumetto, si parla molto nella società italiana di lotta di classe, paura e desiderio che in qualche modo prendono corpo in Diabolik: la paura delle classi dirigenti di perdere il loro denaro e le loro rendite di posizione, il desiderio delle classi meno abbienti di prenderseli, quei soldi, insieme al potere. Magari con metodi non proprio ortodossi. Dietro la maschera nera ribollono insomma tensioni assai più importanti di quelle contenute nelle avventurose sceneggiature delle Giussani.
Certo, oggi le cose sono cambiate, e persino Diabolik si è costruito una sua versione della moralità: se prima era un rivoluzionario, oggi la sua epica e la sua etica sono in qualche modo state istituzionalizzate. O forse – come diceva Almerina Buzzati ricordando la passione sua e del marito Dino per Diabolik – il personaggio è in realtà sempre stato oltre l'etica: ci fa piacere che Diabolik riesca a portare a termine le sue malefatte, ma “con questo non ci sentiamo coinvolti in un mondo negativo. Perché non è questione di male o di bene. È solo questione di avventura, al di là di ogni responsabilità morale”.
Uno dei tanti motivi per cui la maschera di Diabolik è ancora con noi, a sessant'anni di distanza dalla nascita. Questo sì, è ben più stupefacente di ogni vittoria sull'ispettore Ginko.

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