Arte

Enrico Baj e la sua “opera di libertà”

Immaginifico e caustico, per Baj l’arte era gioco ma anche impegno civile. A cent’anni dalla nascita, un grande progetto espositivo tra Milano e Savona ne celebra il genio eclettico

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Di: Francesca Cogoni 

«Imagino ergo sum» è stato il motto che ha accompagnato Enrico Baj durante la sua cinquantennale carriera. Immaginare era per lui qualcosa di necessario: «A nostro avviso c’è una sola arma di difesa e una sola scappatoia per sfuggire alla generale automazione e robotizzazione. Questa è costituita dall’immaginario e dalla necessità di fantasticare che portiamo in noi» affermava l’artista. Inventare, creare, sperimentare, senza vincoli né dettami: per Baj l’arte era questo. Non per nulla, sosteneva che la sua era “un’opera di libertà”. Ed è sufficiente osservare l’eclettica produzione del Maestro milanese, che spazia dalla pittura alla scultura, dalla ceramica al teatro, per rendersi conto di quanto per lui non esistessero confini o gerarchie fra le diverse espressioni artistiche e culturali. Come ha scritto la storica dell’arte Martina Corgnati, «per Baj l’arte è sempre stata una forma di dialogo ininterrotto con il mondo presente e con la scienza, con la poesia, la letteratura e l’utopia del futuro possibile».

Enrico Baj, Generale, 1961. Collezione privata. Courtesy Giò Marconi, Milano.jpg

Enrico Baj, Generale, 1961

  • Collezione privata. Courtesy Giò Marconi

Non solo: oltre a porsi in dialogo costante con il presente, Enrico Baj sapeva vedere anche molto lontano, una dote assai rara. È per questo che tante sue opere continuano a parlarci, a sorprenderci e turbarci, e in alcuni casi anche a commuoverci. Come non pensare agli algoritmi e all’intelligenza artificiale quando Baj parla di «sfuggire alla generale automazione e robotizzazione»? Come non correre subito con la mente ai conflitti bellici che sconvolgono il mondo odierno guardando i Generali e le Parate creati dall’artista? Chissà con quali assurde creature e mostruosi esseri Enrico Baj avrebbe raffigurato le contraddizioni della società attuale… Ed è con questa domanda in testa, a cui si accompagnano molte altre riflessioni, che si visita la splendida mostra in corso fino al 9 febbraio 2025 nella Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale a Milano. “Baj chez Baj” commemora l’artista in occasione del centenario della nascita, proponendo un percorso coinvolgente lungo l’intera carriera di Baj, partendo dai primi anni Cinquanta fino all’alba del Duemila. In mostra si possono ammirare una cinquantina di opere, inclusi capolavori come l’Apocalisse, con le sue trecento sagome beffarde, e I funerali dell’anarchico Pinelli, tra i lavori più emblematici dell’artista. Alla retrospettiva milanese si affianca nello stesso periodo anche una mostra diffusa tra il Museo della Ceramica di Savona e il MuDA di Albissola Marina (SV), tutta incentrata sull’opera ceramica di Baj.

Enrico Baj, Apocalisse. Veduta della mostra 'Baj chez Baj' a Palazzo Reale, Milano. Foto Lorenzo Palmieri.JPG

Enrico Baj, Apocalisse. Veduta della mostra 'Baj chez Baj' a Palazzo Reale, Milano

  • Foto Lorenzo Palmieri

Nato a Milano il 31 ottobre 1924, Enrico Baj si forma all’Accademia di Belle Arti di Brera. Respirando appieno il clima di rinascita economica e culturale che contraddistingue il capoluogo meneghino all’inizio degli anni Cinquanta, Baj esordisce nel mondo dell’arte con una prima personale alla Galleria San Fedele di Milano e dando vita nel 1951, insieme a Sergio Dangelo, all’innovativo Movimento di Arte Nucleare. «I nucleari vogliono abbattere tutti gli “ismi” di una pittura che cade invariabilmente nell’accademismo. Vogliono reinventare la pittura disintegrandone le forme tradizionali. Nuove forme dell’uomo possono essere trovate nell’universo dell’atomo e nelle sue cariche elettriche» si legge nel Manifesto della Pittura Nucleare pubblicato l’anno successivo a Bruxelles.

Enrico Baj, I funerali dell'anarchico Pinelli, 1972. Veduta della mostra 'Baj chez Baj' a Palazzo Reale, Milano. Foto Lorenzo Palmieri.JPG

Enrico Baj, I funerali dell'anarchico Pinelli, 1972. Veduta della mostra 'Baj chez Baj' a Palazzo Reale, Milano

  • Foto Lorenzo Palmieri

Un paio di anni dopo, Baj conosce il pittore danese Asger Jorn, con il quale fonda il Movimento Internazionale per un Bauhaus Immaginista, che si oppone a ogni forma di “razionalizzazione” e “geometrizzazione” dell’arte. Fin da questa prima fase, influenzata dalle correnti surrealista e dadaista, dalla radicalità del gruppo CoBrA e dalle tendenze informali, si manifestano nell’arte di Baj un’indole controcorrente e dissacratoria e la volontà di operare in totale libertà, mescolando materiali e tecniche. Prendono forma a poco a poco i cicli delle Modificazioni e poi degli Ultracorpi, oli e collage su tela animati da creature mutanti e grottesche, “corpi altri” pregni di un humour tagliente. Accanto alla straordinaria inventiva, infatti, l’ironia è un’altra componente imprescindibile dell’opera di Baj, rafforzata anche dal forte interesse verso la Patafisica di Alfred Jarry, e in particolare verso l’Ubu Re, che sarà una costante ispirazione. Un’ironia, dunque, nutrita dal gusto del paradosso e dal proposito di scardinare e denunciare qualsiasi forma di conformismo e di potere costituito. «L’allegria può distruggere il sistema perché al contrario delle nuove venerate divinità rispondenti ai nomi di Produzione e Consumo, essa è limite, è regola interiore, è contentezza di sé e di cose semplici: non per miseria mentale, ma per saggezza» dichiara l’artista.

Enrico Baj, Ubu, 1961. Collezione privata. Courtesy Giò Marconi, Milano.jpg

Enrico Baj, Ubu, 1961

  • Collezione privata. Courtesy Giò Marconi

Così, attraverso le serie degli Specchi, i Mobili, i Meccano, i lavori di Baj si arricchiscono non solo di nuovi elementi, incorporando oggetti di uso comune e di recupero tra i più disparati, ma anche di nuovi significati. Le strepitose serie dei Generali e delle Dame che Baj realizza tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta, sono tra i massimi esempi di questa capacità dell’artista di coniugare estro e spirito critico. «Quand’ero piccolo vedevo le sfilate, le parate militari, la fanfara, le piume dei bersaglieri, le bandiere al vento ed ero felice. La guerra manco sapevo cos’era. Ora so che ci sono i generali a Mosca come a Washington, Parigi, Saigon, Roma e Pechino». Ecco allora i Generali, e la loro controparte femminile, le Dame, schernire l’aggressività e la prepotenza degli apparati militari, così come il perbenismo e l’alterigia. Sul piano espressivo, ciò si traduce anche in una esasperazione della polimatericità. Ed è interessante a questo proposito, la sfilza di materiali che il critico d’arte Guido Ballo enumera visitando lo studio di Enrico Baj: «[...] pettini, plastica, elettricità, valvole, candele, pomelli, maniglie, intarsi, alamari, cascami, pizzi neri, fiori, conti correnti, Meccano, etichette, passamani, bordi, sciarpe, ritagli, medaglie, cordoni, zuffoli, mappine, cravatte, galloni, lustrini [...]», l’elenco è lunghissimo.

Enrico Baj, Meccano B-21, 1965. Collezione privata. Courtesy Giò Marconi, Milano.jpg

Enrico Baj, Meccano B-21, 1965

  • Collezione privata. Courtesy Giò Marconi

In breve tempo, Baj si afferma anche a livello internazionale: nel 1958, tiene la sua prima personale a Parigi, mentre nel 1960 approda per la prima volta a New York, per partecipare all’Esposizione Internazionale del Surrealismo, curata da André Breton e Marcel Duchamp. L’anno seguente, il suo lavoro è incluso nella mostra “The Art of Assemblage” presso il MoMA. Nel 1963, ancora a Parigi, Baj conosce Max Ernst, che gli affitta il suo vecchio studio, appena liberato da Duchamp. Qui, l’artista abiterà e lavorerà per qualche anno, aderendo al Collège de Pataphysique ed entrando in contatto con le tendenze del tardo Surrealismo, dell’esistenzialismo e del Nouveau Réalisme.

Sia in Italia sia all’estero, sono tanti gli intellettuali con cui Baj tesse importanti relazioni: da Umberto Eco, che lo definisce «allegro cachinnatore» e «pittore di potenze demoniache, di teratologie quotidiane, di follie polimateriche», a Italo Calvino, che ne sottolinea la capacità di ritrarre le deformazioni e mostruosità di «un mondo pericolosamente effimero», e ancora Raymond Queneau, Jean Baudrillard, André Pieyre de Mandiargues, Edoardo Sanguineti, solo per dirne alcuni.

Enrico Baj, Parata a sei, 1964. Archivio Enrico Baj, Vergiate (VA).jpg

Enrico Baj, Parata a sei, 1964

  • Archivio Enrico Baj, Vergiate

Negli anni Settanta, nascono due delle opere che meglio incarnano il genio e il potere immaginifico e demistificatore di Baj: nel 1972, riprendendo la lezione picassiana di Guernica, l’artista realizza I funerali dell’anarchico Pinelli (1972), un lavoro complesso e profondo, che segna una svolta anche sul piano estetico e formale per il suo impianto marcatamente scenografico e teatrale. Un’opera che, nel ricordare la terribile morte di Giuseppe Pinelli, tragedia insieme familiare e politica, diventa con il tempo un monito contro ogni forma di sopruso e violenza. Dopo anni di traversie e tentennamenti, finalmente dal 2025 questo lavoro di straordinario valore storico e artistico sarà esposto al pubblico in modo permanente al Museo del Novecento di Milano. Nel 1979, Baj dà vita a un capolavoro ancora più scenografico e imponente: l’Apocalisse, un’installazione gremita di folli demoni e creature goffe e grottesche con cui il Maestro «ci ricorda che gli agenti della distruzione sono di questa terra», per citare ancora Eco.

Enrico Baj, Louise Marie Thérèse Victoire de France, Princesse, 1975. Archivio Enrico Baj, Vergiate (VA).jpg

Enrico Baj, Louise Marie Thérèse Victoire de France, Princesse, 1975

  • Archivio Enrico Baj, Vergiate

Con una continua invenzione di forme e linguaggi e sempre irridendo le storture e le abiezioni della contemporaneità, seguono nel corso dei decenni successivi le serie dei Manichini, delle Metamorfosi e Metafore, delle Maschere, dei Feltri, dei Totem, delle Sculture idrauliche, e poi i Guermantes, piccoli ritratti ispirati all’opera di Marcel Proust, e il ciclo dedicato alle Storie di Gilgamesh, una delle ultime creazioni dell’artista prima della sua morte, avvenuta il 16 giugno 2003.

Come ha ricordato il poeta e critico d’arte Alain Jouffroy, grande amico dell’artista: «Baj ha disegnato, nel corso di mezzo secolo, una circonferenza in cui ogni sorta di stupidità, ogni sorta di vanità, ogni sorta di aggressività e violenza sono combattute con lo stesso umorismo destabilizzante, la stessa risata liberatoria, la stessa rigorosa volontà». Ed è proprio per questo che Enrico Baj resta una delle personalità più audaci, imprevedibili e geniali del secondo Novecento.

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Baj chez Baj Milano rende omaggio a Enrico Baj

La corrispondenza 21.10.2024, 07:05

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