Strutture di ferro, travi di legno e blocchi di cemento sono sparsi al centro del palco. Su queste rovine si muove un essere dalla pelle squamosa e blu. Sulla testa porta un casco bianco con la visiera, indossa una maglietta col taschino dello stesso colore, dei pantaloncini rossi e stivali di gomma gialla. Mentre attendo Federica Rosellini in un bar vicino alla Basilica di San Simpliciano, poco distante dal Teatro Studio Melato, ripenso a questo essere mutaforme quando una bambina mi passa accanto, casco in testa e monopattino custodito nella mano del padre. È ottobre e Federica Rosellini è impegnata con le prove di Hamlet per la regia di Antonio Latella, in cui lei interpreta il ruolo di Amleto, senza travestimenti: indossando gonna e pantaloni, e mostrandosi con i suoi lunghi capelli biondi. La bambina passa oltre il mio tavolo e prosegue lungo la via incrociando Federica, che avanza con un collare cervicale, certamente meno aggraziato rispetto alle gorgiere elisabettiane. Lei è sorridente, dal tono fermo e pacato, gli occhi sono due fessure gentili. Insiste per levarsi quel colletto rigido durante l’intervista, si sente imbrigliata nei movimenti e questo la disturba, dice. Bloccata, penso, come in quel bozzolo con le gambe di ragno e di spine del suo spettacolo: Carne Blu.
Federica Rosellini, foto di scena "Carne blu"
Mi risuona il rumore di quel marchingegno in movimento come se, spogliato dalla pelle e dalla carne, restasse solo la macabra musica delle ossa che battono tra loro rendendolo vivo.
Carne Blu, il suo primo spettacolo nel ruolo di Artista Associata del Piccolo Teatro di Milano, si pone sul filo di lama, sulla soglia, tra ciò che è noto e ciò che deve essere immaginato, dove convivono visioni che altrimenti non avrebbero ragione di essere accostate, dove quando le parole non bastano per descrivere questi mondi arrivano in soccorso il disegno, la musica e la danza. Tra queste estremità, tra un mondo e l’altro, si colloca un
non-luogo composto da storie infinite che risiedono dentro scatole cinesi custodite all’interno di ciascuna persona nel pubblico.
Da allora. Dentro la pancia della lucciola, la bambina non smette più di bruciare e il cervo continua a devastare il mondo.
Da allora, quello che accade una volta, accade per sempre.
("La storia del cervo innamorato" in: Carne Blu, 2021, Giulio Perrone Editore)
Federica Rosellini, foto di scena "Carne blu"
Federica Rosellini è nata in una famiglia di musicisti e ancora prima di formarsi presso i grandi maestri del teatro contemporaneo ha appreso fin da piccola musica e danza. Dopo gli studi di canto e di violino, all’età di sedici anni, sceglie di dedicarsi principalmente al teatro: per lei l’unico contenitore in grado di raccogliere tutte le sue passioni. Nel 2011 si diploma alla Scuola del Piccolo Teatro di Milano sotto la guida di Luca Ronconi “un maestro insuperabile”, ci racconta. La sua formazione teatrale prosegue poi con Nikolaj Karpov, Thomas Ostermeier e Antonio Latella, da ognuno di loro ha preso “ciò che risuonava in lei”, riuscendo a liberarsi di quello che non le apparteneva, perché “l’unico modo per compiere una metamorfosi non è venerare i maestri e le maestre del proprio passato, ma piuttosto uccidere questi padri e madri”. Federica Rosellini ha collezionato numerosi riconoscimenti, tra i quali è vincitrice nel 2018 del premio Hystrio Mariangela Melato e del premio Virginia Reiter come miglior attrice under 35 e ha ottenuto per due volte il premio UBU come miglior attrice/performer under 35. Nel 2017 ha interpretato Mariella Mehr nel film Dove cadono le ombre per la regia di Valentina Pedicini vincendo il premio Nuovo IMAIE come attrice rivelazione del Festival di Venezia. Attualmente sta lavorando accanto a Elio Germano a Confidenza l’ultimo film di Daniele Luchetti. Nel 2021 ha pubblicato il suo primo libro di cui è anche illustratrice, Carne Blu, diventato in seguito lo spettacolo teatrale grazie al quale l’abbiamo incontrata.
Hai definito Carne Blu uno strano oggetto illustrato, un ibrido fra teatro, narrativa e fiaba nera. Come mai hai scelto questa forma di scrittura?
Quando ho scritto Carne blu per me era una specie di cura in un momento veramente complicato della mia vita personale ed era un modo per tirare le somme dei miei primi trent’anni; quindi, non mi sono fatta realmente una domanda su come scriverlo, ho lasciato che emergesse. Sono una persona che ragiona molto per visioni: sono capace di costruire mondi, ho più difficoltà ad avere un rapporto con quello attuale. La presenza così importante della musica dentro questo spettacolo è legata al fatto che nella mia vita è tutto mischiato, è tutto unito, c’è una continuità tra le cose, come anche il voler illustrare. Mentre scrivevo disegnavo oppure prima disegnavo e poi quel disegno diventava parte della scrittura, questo è il mio modo di creare: ibrido; e ho deciso di tenere la materia così com’era nata. Il prologo di Carne blu nasce dalla prima illustrazione presente nel libro che sovrappone ad una schiena l’immagine di una città e di una bambina che in quella città fugge. È un sogno che ho fatto durante la pandemia, un sogno che prima ho disegnato e che poi ho deciso sarebbe stato l’inizio del testo di Carne blu. Credo che a volte il disegno basti a se stesso e forse è anche più delle parole, mentre altre volte le parole non bastano e c’è bisogno di un disegno.
Cosa intendi con fiaba nera e cosa rappresenta per te?
Ogni fiaba è una fiaba nera, diceva Giovanna Zoboli nel nostro libretto di sala. È vero, tutte le grandi fiabe nel loro stadio primitivo, quando non sono state ancora edulcorate, hanno un’anima nera. Da bambina adoravo Barbablù e sono anche una grandissima appassionata di fiabe russe che mi vengono da mia madre, che è un’esperta di iconografia bizantina, e che spesso sono a cavallo tra vita e morte. Quando io parlo di fiaba nera intendo questo filo di lama fra il macabro, la morte, la resurrezione. Ogni fiaba è una specie di piccola opera-mondo, è lo schiudersi di un microcosmo nuovo, per questo il lavoro sulla fiaba mi interessa molto. Penso anche che quando il pubblico si trova di fronte a una fiaba si pone con un atteggiamento differente, con un ascolto differente, perché pensa di non dover comprendere intellettualmente quello che sta per essergli proposto e quell’apertura può essere molto interessante: quando sei dentro quella faglia infantile puoi allora, come autrice e come interprete, tirare fuori il coltello. In Carne Blu lavoro proprio sulle ferite dell’infanzia, sull’infanzia ferita e la violenza.
Il contenitore di questi mondi, il corpo, cosa rappresenta nel tuo lavoro?
È una, se non la tematica centrale del mio lavoro. Il suo denudamento – che però non è un denudamento dei vestiti, ma della pelle, dei muscoli, della patina delle ossa – è per me il luogo del carotaggio, è anche ciò che si può esporre; è il luogo dell’onestà. Carne Blu lavora tantissimo sul concetto di corpo, ma di un corpo come dilatato, come se tutto il teatro diventasse un solo corpo e il mio di volta in volta una ghiandola, un osso, un pezzo di muscolo, quindi un elemento dentro questo grande corpo che si moltiplica attraverso quello degli spettatori. Per me il corpo è anche il luogo dove è più facile rintracciare la comunità, un luogo dove poter trovare la sincerità della comunicazione in questa discesa in verticale, dove potersi, per assurdo, più che nelle parole, riconoscere. Io credo soprattutto nella vulnerabilità del corpo, che per me è stata la speranza di Carne Blu. Ho sperato che qualcuno attraversasse il mio corpo e in quell’attraversamento potesse ricontattare qualcosa di sé.
Federica Rosellini, foto di scena "Carne blu"
In Carne blu la divisione in atti coincide con la metamorfosi del personaggio postumano, ambiguo, agenere. Tu hai parlato di un corpo mutaforme, quello di Orlando, erede del personaggio di Virginia Woolf: quali sono le motivazioni dietro alla scelta di un personaggio ibrido?
Sono ragioni autobiografiche, non ho mai avuto la percezione di un’identità di genere monolitica, pur essendo comunque politicamente legata al mio essere donna, in quanto per me il corpo della donna è ancora un luogo di resistenza, però detto questo mi sono sempre sentita intimamente slittare fra una natura e l’altra, fra una specie e l’altra. Banalmente io racconto questo: Sunny è un cuore-pesce, è vibratile, è quasi un senza pelle; Orlando ha un cuore che sì, certo, è forte, infatti Sunny a volte ha meno paura di Orlando ed è capace di nuotare e di staccarsi dal suo corpo, ma di contro è potenzialmente molto più esposto. Sunny è un cuore che non ha la copertura della cassa toracica, esce da Orlando, nuota, va, e questo credo mi racconti profondamente. In Carne Blu, Orlando non ha una voce unica: è Lui e Lei, è il bambino in viaggio ed è la donna che lo guarda dal cuore della Luna. È tutto un gioco di specchi. Questo sdoppiamento racconta anche un’altra cosa che per me è autobiografica – ho sempre detto che ciascuno di noi è anche, in parte, le persone che ha perso, che non ci sono più e che restano, si muovono, in questo nostro corpo-anima. Questa entità fantasma abita ognuno di noi e, allo stesso tempo, è nostro dovere in qualche modo lasciarla andare. È partito tutto da una leggenda nepalese che dice che sulla Luna vivono i nostri morti, quindi, unendo questo racconto e il vallone delle cose perdute ariostesco è arrivato Orlando. Nella nostra cultura la Luna simboleggia il femminile, ma in altre non è così; di lingua in lingua diventa maschile o femminile, non ha un’identità di genere coincidente.
Federica Rosellini, foto di scena "Carne blu"
Questo rapporto tra noi e il ricordo può diventare distruttivo e ossessivo, in che modo tu o Sunny, trovate la giusta distanza per lasciare che il ricordo fluisca senza esserne travolti?
Carne Blu è una preghiera perché questo accada, è un rito, è un funerale, un canto collettivo; io non ci sono ancora riuscita, credo sia davvero molto complesso trovare un equilibrio, per me è molto difficile lasciare andare. Sono più simile alle protagoniste de La fiaba della volpe e della donna dentro Carne Blu. La donna e la volpe costruiscono un labirinto dentro la casa, cosicché, dopo la morte di chi si è amato, il Tempo possa essere incantato e la donna possa restare legata a quel suo fantasma per tutta la vita. Ecco, io sono più simile a questo, però ho pregato insieme a tutti voi che si possa trovare una strada per qualcos’altro. Carne Blu è un sistema di scatole cinesi, ci sono due fiabe dentro la fiaba: una è quella della volpe e della donna, l’altra è La storia del cervo innamorato; entrambe lavorano sulla memoria e sul rapporto con chi se ne è andato. Rispetto al tema della memoria, la più importante delle due è la vicenda del cervo innamorato: una bambina vive dentro un granello di polvere custode di una fiamma, un cervo la vede, si innamora di lei, la segue dentro quel labirinto di cenere, ma è troppo grande per quel fuoco, le sue corna bruciano e con loro tutto il mondo della bambina. Una mosca, vedendo il granello di polvere bruciare e pensando che sia una cosa preziosa, lo trattiene nella sua pancia diventando una lucciola. Da allora la bambina continua a bruciare e il cervo continua a devastare il mondo. Trattenere nella memoria è bellezza e dolore, è questa duplicità che mi fa credere che non si riesca a trovare veramente un equilibrio. Questo riguarda anche Orlando, nel finale di Carne blu il bambino mai nato, l’immagine di coloro che abbiamo amato e perso, si stacca dalla donna-voce narrante, si lascia andare, si libera, diventa balena e fa volare Lei fuori nello Spazio. L’ultima frase la proietta nella vita fuori dalla Luna: la sua luce (di Orlando bambino, della Luna) e la nostra sembrano le luci di due fantasmi, che si allontanano senza poter mai più smettere di guardarsi.
Come se il cuore avesse la forza di andare, ma restasse in noi una parte che continua a guardare verso quei nostri cari fantasmi che non riusciamo a dimenticare.
Federica Rosellini - Carne Blu