“Il mondo, la vita, le persone mi appassionano. Li fotografo per cercare di conoscerli, per conoscermi, per esprimere i pensieri, i sentimenti, le emozioni che mi suscitano. Per conservare una traccia. Per me la fotografia è racconto e memoria”.
Ferdinando Scianna ci ha mostrato e raccontato molto. Con i suoi innumerevoli reportage ci ha accompagnato in luoghi vicini e lontani, dalla natia Bagheria fino alle Ande boliviane. Con i suoi intensi ritratti ci ha fatto incontrare e ammirare volti conosciuti e non. E, soprattutto, con il suo sguardo sempre lucido e schietto ci ha narrato storie vere e profonde, rendendoci testimoni di vicende e realtà talvolta affascinanti, altre volte drammatiche.
Parigi, 1989
Ferdinando Scianna sa di avere avuto “una vita molto interessante e fortunata […] persino meravigliosa”, come dichiara nel suo appassionante Autoritratto di un fotografo (Contrasto, 2021). Una esistenza e una carriera colme di incontri, esperienze e riconoscimenti che continuano a tradursi non soltanto in progetti espositivi, ma anche in scritti e libri che vanno ad aggiungersi agli oltre cento titoli pubblicati finora. Sì, perché libri e scrittura sono da sempre, accanto alla fotografia, le altre due grandi passioni di Ferdinando Scianna: “Scrittura e fotografia non si escludono. Io nasco fotografo e mi sento fotografo, però ho fatto il giornalista per venticinque anni, scrivendo anche. Mi ricordo che Sciascia, mettendomi in guardia, mi disse ‘stai attento che te ne può venire una schizofrenia’. Ma io questa cosa l’ho sempre esorcizzata considerandomi un fotografo che scrive”.
Nato a Bagheria (Palermo) il 4 luglio del 1943, Ferdinando Scianna inizia prestissimo ad appassionarsi alla fotografia.
“Ho cominciato a fotografare, diciamo ‘seriamente’, intorno ai diciassette anni e la Sicilia era là. Ho cominciato a fotografare perché la Sicilia era là. Per capirla e attraverso le fotografie cercare di capire, forse, che cosa significa essere siciliano”.
Da queste parole si evince quanto le proprie radici abbiano avuto un peso fondamentale nella formazione e poi nel percorso esistenziale e professionale di Scianna. La terra sicula, con la sua luce, ma soprattutto con le sue ombre, i suoi riti e miti, le sue tante contraddizioni, non cesserà mai di ripresentarsi, limpidamente o velatamente, nella sua opera, sarà come un refrain.
Marpessa. Caltagirone, 1987
Le prime foto del giovane Scianna raffigurano contadini, ragazzini, manovali che incontra per strada, in quel mondo rurale in cui si trova immerso. I suoi genitori desiderano per lui un futuro da medico o da ingegnere, ma Scianna, disattendendo le loro speranze, dopo il liceo si iscrive alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Palermo. Le lezioni di Storia delle tradizioni popolari e poi l’illuminante incontro con l’etnomusicologo Roberto Leydi lo spingono a fotografare in modo sistematico le feste popolari e religiose della sua terra, spostandosi tra i piccoli paesi dell’entroterra e le località meno battute. Nel 1963, una parte di questi scatti viene esposta nel circolo culturale di Bagheria. Il caso vuole che a posare lo sguardo su queste immagini e a restarne folgorato sia un uomo che, di lì in avanti, avrà per il fotografo un ruolo determinante: Leonardo Sciascia.
Leonardo Sciascia. Racalmuto, 1964
Così Scianna ricorda il suo primo incontro con lo scrittore conterraneo: “Era il 16 agosto, c’erano cinquanta gradi all’ombra e io chiedevo in piazza dove abitasse Sciascia. ‘Nanà, a la Nuci’ mi rispondevano. Cioè in una certa contrada di campagna, nella casa senza acqua né luce dove ogni estate andava a scrivere i suoi libri e dove da allora sarei andato a trovarlo anch’io, per ventisei anni, tutti gli anni. Ebbi un vero colpo di fulmine: avevo trovato la persona chiave della mia vita”.
È l’inizio di una lunga e profonda amicizia, e di tanti progetti condivisi, il primo dei quali è, nel 1965, il libro Feste religiose in Sicilia, in cui le splendide foto in bianco e nero di Scianna sono accompagnate da un prezioso saggio di Sciascia. La pubblicazione scatena molte polemiche, perché lo scrittore vi afferma convintamente che la religiosità dei siciliani è “materialista”, ma riceve anche tanti elogi (“the most impressive photobook of the year” viene definito dalla rivista americana Popular Photography) e riconoscimenti, come il premio Nadar.
Enna,1963
Incoraggiato dal successo del libro, nel 1966 Ferdinando Scianna si trasferisce a Milano con l’obiettivo di proseguire il proprio percorso professionale come fotografo. In breve tempo, viene assunto al settimanale d’attualità L’Europeo, una sorta di “università del giornalismo italiano”, secondo le parole dello stesso Scianna, dove potersi fare le ossa come fotoreporter e affinare le proprie capacità. Negli anni successivi, Scianna viaggerà molto, dal Sud Italia alla Cecoslovacchia al Bangladesh, documentando numerosi eventi, finché inaspettatamente non viene “spedito” a Parigi come corrispondente. Segue un decennio intenso, durante il quale Scianna scrive e fotografa ininterrottamente.
Makkalè, 1984
Nella capitale francese si pongono le basi di un’altra straordinaria amicizia: quella con il fotografo Henri Cartier-Bresson, che fin dai suoi esordi Scianna considera un “padre spirituale e maestro di fotografia”. “Cartier-Bresson è stato con me di un’eccezionale generosità critica e umana. Ci vedevamo di continuo. Parlavamo di tutto. Forse la cosa di cui parlavamo meno era la fotografia”.
New York, 1985
All’inizio degli anni Ottanta, terminata la collaborazione con L’Europeo, Scianna è in procinto di rientrare in Italia, ma ecco un’altra importante svolta nella sua carriera: l’amico Cartier-Bresson gli propone di diventare membro di Magnum Photos. Così, nel 1982 Ferdinando Scianna diventa il primo fotografo italiano a entrare nella celebre agenzia. Un onore, ma anche un grande onere. Da questo momento in poi lavorerà come fotografo e giornalista indipendente, collaborando con numerose testate, misurandosi con sfide sempre diverse, senza disdegnare alcun campo, compresa la moda, dove riesce a discostarsi dai classici stilemi. Nel patinato mondo della moda, infatti, Scianna si affida al suo occhio di fotoreporter coniugando abilmente finzione e realtà, messinscena e biografia, come testimoniano le iconiche immagini che vedono protagonista la modella Marpessa, musa di tanti servizi.
“Come fotografo mi considero un reporter. Come reporter il mio riferimento fondamentale è quello del mio maestro per eccellenza, Henri Cartier-Bresson, per il quale il fotografo deve ambire ad essere un testimone invisibile, che mai interviene per modificare il mondo e gli istanti che della realtà legge e interpreta. Ho sempre fatto una distinzione netta tra le immagini trovate e quelle costruite. Ho sempre considerato di appartenere al versante dei fotografi che le immagini le trovano, quelle che raccontano e ti raccontano, come in uno specchio. Persino le fotografie di moda le ho sempre trovate nell’azzardo degli incontri con il mondo”.
Kami, 1986
Parole eloquenti e incisive, che riassumono perfettamente l’attitudine e la tempra del fotografo siciliano. Che si tratti delle foto fatte alla gente di Kami o di quelle scattate a Lourdes, o ancora i numerosi, magnifici ritratti che immortalano amici e maestri, personalità del mondo dell’arte e della cultura, Ferdinando Scianna ha sempre cercato con le sue immagini di “mostrare” anziché “dimostrare”, senza alcun intento estetizzante né affettazione, ma solo con tanta ammirevole sincerità e con raro equilibrio tra testa e cuore.