«Le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure, anche se il filo del loro discorso è segreto, le loro regole assurde, le prospettive ingannevoli, e ogni cosa ne nasconde un’altra.»
Italo Calvino, Le città invisibili
Lo spazio urbano era la sua magnifica ossessione. Caseggiati, fabbriche, strade, e poi terra e cielo, vetro e cemento, intersecarsi di linee e forme, pieni e vuoti, armonia e caos… Per quarant’anni Gabriele Basilico ha rivolto il suo sguardo alle città, e alla loro identità, complessità ed evoluzione. «Quello che mi interessa in modo costante, quasi ossessivo, è il paesaggio urbano contemporaneo, il fenomeno sociale ed estetico delle grandi, rapide, incontenibili trasformazioni in atto nelle città del pianeta». Attraverso uno stile ben riconoscibile, rigoroso e contemplativo, Basilico ha esplorato e raccontato, con appassionata perseveranza, le grandi metropoli e le cittadine del mondo, in primis Milano, il luogo a lui più caro, da dove partiva e in cui sempre tornava.
Gabriele Basilico, Paris, 1997
Il vasto archivio lasciato dal fotografo ci permette oggi di muoverci idealmente tra ambienti urbani vicini e lontani nel tempo e nello spazio e di scoprire analogie, mutamenti, tracce, impressioni. Proprio come avviene visitando l’ampia mostra con cui Milano rende omaggio all’autore nel decennale della sua scomparsa. Allestita in due sedi distinte, rispettivamente alla Triennale di Milano (fino al 7 gennaio 2024) e a Palazzo Reale (fino all’11 febbraio 2024), “Gabriele Basilico. Le mie città” vede protagonista da una parte il capoluogo lombardo, fotografato con costanza e meticolosità nel corso dei decenni, e dall’altra le numerose metropoli esaminate e ritratte nel tempo. Un progetto espositivo composito e affascinante, da cui emerge come ogni scatto di Basilico sia l’esito di uno sguardo lento, profondo e paziente, obiettivo eppure partecipe, essenziale ma mai banale.
Gabriele Basilico, Milano 2011
Con approccio documentaristico, lavorando prevalentemente con banco ottico e pellicola in bianco e nero, Basilico indagava i corpi degli spazi urbani, le loro nervature e la loro ossatura: «Vedo la città come qualcosa di vivo, come un organismo che respira, come un grande corpo in trasformazione. Mi interessa cogliere i segni di questa trasformazione, esattamente come un medico che indaga il cambiamento della forma di un corpo e ne coglie la struttura nelle pause del respiro, quasi in uno stato di sospensione». Ma è possibile ritrarre il corpo di una città escludendo una delle sue componenti principali: l’essere umano? Sì, si può, ci dicono le immagini di Basilico. Nella maggior parte di esse manca la presenza umana, eppure questa è costantemente sottesa, percepita, immaginata, rievocata. «Mi interessa l’umanità dell’architettura. È un paradosso: fotografo l’architettura, lo spazio, il paesaggio urbano, senza le persone, ma penso che la mia fotografia sia profondamente dedicata all’umanità del luogo, che è stato costruito da persone che non si vedono». Senza dimenticare che in queste vedute cittadine ci siamo anche noi, che le osserviamo e che ci proiettiamo dentro.
Nato a Milano il 12 agosto 1944, Gabriele Basilico si avvicina alla fotografia intorno alla fine degli anni Sessanta. Contemporaneamente frequenta il Politecnico di Milano, laureandosi in Architettura nel 1973. Nella primissima fase della sua carriera, Basilico realizza fotografie di indagine sociale, come quelle scattate nel 1976 quando, insieme a un gruppo di amici, gira un cortometraggio dal titolo Proletariato giovanile. L’autore immortala la condizione di alcuni giovani nella città meneghina, tra disagio sociale, case occupate e momenti di aggregazione come il Festival di Re Nudo al Parco Lambro.
Gabriele Basilico, Shanghai, 2010
Nel 1978, nell’ambito della sua collaborazione con la rivista Urbanistica Milano, Basilico inizia a lavorare a un progetto che rappresenterà un vero e proprio giro di boa non solo nel suo percorso ma anche nella storia della fotografia italiana: Milano. Ritratti di fabbriche. «Nella magica sospensione luminosa della Pasqua 1978, spostandomi nella città di zona in zona, pianta alla mano, mi sono ritrovato nella zona 14, tra via Ripamonti e via Ortles, in un’area caratterizzata prevalentemente da costruzioni industriali» scrive Basilico. «Per la prima volta ho “visto” le strade e, con loro, le facciate delle fabbriche stagliarsi nitide, nette e isolate su un cielo inaspettatamente blu, dove la visione consueta diventava improvvisamente inusuale. Ho visto così, come se non l’avessi mai visto prima, un lembo di città senza il movimento quotidiano, senza le auto parcheggiate, senza gente, senza rumori. Ho visto l’architettura riproporsi, filtrata dalla luce, in modo scenografico e monumentale. Ho rivisto attraverso il mirino della mia Nikon, le immagini nascere da un’operazione di astrazione, di isolamento, di assenza. Ho individuato un metodo per capire e per scoprire ciò che a volte si osserva in modo confuso e miope». È una sorta di folgorazione, l’avvio di un modus operandi e di un linguaggio che il fotografo non abbandonerà più. La ricerca sugli stabilimenti industriali milanesi dura tre anni, dando vita a un imponente corpus di immagini e a un libro che diventerà una pietra miliare per l’editoria fotografica.
Nel 1983, la prima committenza di rilievo: Basilico è l’unico italiano tra i ventotto fotografi provenienti da tutto il mondo che, per incarico del governo francese, hanno il compito di documentare le trasformazioni paesaggistiche in atto in Francia. Il fotografo sceglie di lavorare sulla costa nord del paese. Questo lavoro gli porta visibilità internazionale e gli permette di entrare in contatto e stringere amicizia con fotografi come Josef Koudelka e Raymond Depardon. Negli anni successivi, stimolato da questa esperienza, Basilico decide di proseguire la sua ricerca incentrando la sua attenzione su un particolare elemento del paesaggio urbano: il porto. L’indagine interessa dapprima le città di Genova e di Trieste, proseguendo poi in altri centri europei e concludendosi con la pubblicazione del notevole volume Porti di mare.
Gabriele Basilico, Milano 1989
Nel 1991, ecco un altro incarico importante per Basilico: insieme ad altri cinque fotografi, tra cui i già citati Koudelka e Depardon, viene chiamato a Beirut per realizzare un progetto fotografico sul centro cittadino devastato dalla guerra civile appena conclusa. Negli anni, il fotografo tornerà più volte nella capitale libanese, dando origine a un vero e proprio ciclo fotografico sulla città, che resta una delle sue ricerche più note e apprezzate.
Nel corso dei due decenni successivi, Gabriele Basilico viaggia assiduamente indirizzando il suo obiettivo verso le realtà urbane di numerosi paesi, prima in Europa e poi via via in tutto il mondo: da Rio de Janeiro a San Francisco, da Mosca a Shanghai, passando per Londra, Parigi, Istanbul, Tel Aviv, Berlino, Lisbona, Valencia, Gerusalemme, solo per dirne alcune. E poi c’è Milano, suo primo territorio di esplorazione e sperimentazione, a cui dedica numerosi progetti: “Dal tetto del Duomo”, “La città di notte”, fino all’ultimo lavoro della sua carriera: “Porta Nuova”. «Posso vedere frammenti di Milano, della mia storia di Milano, in giro per l’Europa e, in senso opposto, quando torno da un’altra città, per analogia o per contrapposizione, ritrovo in Milano nuovi segni prima sconosciuti». E ancora: «Milano è stata per me, fotograficamente parlando, un cantiere di sperimentazione […] Ammiro le parti belle e le parti misere del suo corpo, dai quartieri, alle case, ai muri, ai selciati. Ha una sua bellezza e una sua bruttezza, esterne, visibili, che sono incarnazione della sua storia».
Gabriele Basilico, Instambul, 2005
Già, bellezza e bruttezza si alternano senza soluzione di continuità e talvolta si confondono nelle vedute urbane immortalate da Basilico, che volge la sua attenzione soprattutto verso le zone di confine, le periferie, gli spazi marginali e in trasformazione. Nobile o mediocre, ogni architettura, ogni porzione di città è degna di attenzione per il suo occhio fermo, lucido e razionale. Possono cambiare il punto di vista, il formato, la scelta per il bianco e nero (soluzione più frequente) o per il colore, ma ciò che permane nella pratica e nella poetica di Gabriele Basilico sono il rispetto e l’interesse sincero verso quanto fotografato, perché «se la fotografia alla fine non può certo cambiare il destino della città e non può influenzare in modo determinante le scelte progettuali e politiche, ciò che importa è la possibilità di poter creare una nuova sensibilità per poter interpretare il mondo conformato, caotico e indecifrabile, che ci sta dinnanzi».
Fino alla sua scomparsa, avvenuta il 13 febbraio 2013, Basilico continuerà a collaborare incessantemente con istituzioni e realtà pubbliche e private in Italia e all’estero, collezionando premi e riconoscimenti e facendo scuola, grazie alla sua esemplare capacità di “ascoltare il cuore delle città”, per citare un libro da lui molto amato, quell’Ascolto il tuo cuore, città in cui Alberto Savinio raccontava la “dotta e meditativa” Milano postbellica.
Milano: un’ampia mostra espositiva dedicata a Gabriele Basilico
La corrispondenza 08.11.2023, 07:05