Scultura

Giuseppe Penone, la natura come materia di scultura

Da oltre cinquant’anni, l’artista piemontese porta avanti una ricerca scultorea profonda e poetica

  • Oggi, 17:01
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Giuseppe Penone

  • © Muratore Murialdo
Di: Francesca Cogoni 

Fare scultura non significa soltanto saper manipolare e trasformare la materia per riprodurre o trasfigurare la realtà. Per Giuseppe Penone scolpire è sempre stato molto di più.

Tutto il mio lavoro in fondo è una riflessione sulla scultura, intesa non come una scelta di un materiale o di alcuni materiali e poi un’elaborazione di forme, ma come un tentativo di capire la realtà attraverso questa parola, attraverso questo processo

Giuseppe Penone

Comprensione e processo sono, insieme a contatto e impronta, i concetti cardine sui quali si fonda l’approccio innovatore e radicale di Penone alla pratica scultorea. La sua indagine e “meditazione” sulla scultura l’ha portato a produrre dalla fine degli anni Sessanta a oggi un corpus di opere suggestivo ed eterogeneo, esito del costante incontro e confronto con il mondo naturale.

Giuseppe Penone, Ripetere il bosco [dettaglio], 1969-2022. Installazione Voorlinden Museum, Wassenaar 2022. Foto © Archivio Penone, SIAE 2024.jpg

Giuseppe Penone, Ripetere il bosco [dettaglio], 1969-2022

  • © Archivio Penone, SIAE 2024

Nato nel 1947 a Garessio, piccolo centro del cuneese circondato da boschi e montagne, Giuseppe Penone compie la sua formazione all’Accademia di Belle Arti di Torino. Come lui stesso ha spesso raccontato, il suo percorso come scultore ha avvio con una singolare presa di coscienza: durante una lezione in Accademia, mentre osserva un docente intento a modellare un busto, Penone improvvisamente non percepisce più un volto nel lavoro che a poco a poco sta emergendo dall’argilla, bensì vi scorge soltanto l’impronta delle mani dello scultore. A catturare la sua attenzione non è il busto che sta prendendo forma, ma il gesto scultoreo. Questa sorta di ribaltamento di prospettiva accompagnerà l’artista per tutta la sua carriera: è il processo, più che l’opera finale, a contare per Penone, e il fare scultura è innanzitutto un’esplorazione tattile del mondo. Ciò risulta evidente fin dai suoi primi lavori, in cui sonda le qualità fisiche di materiali come il ferro, il piombo, la cera, il gesso, il legno e la iuta.

Alpi Marittime, un gruppo di opere realizzato nel 1968, è frutto di una serie di azioni che Penone compie in un bosco nei pressi della sua cittadina natale, per esplorare il legame e le interconnessioni tra uomo e natura. Raccolti in una sorta di diario, i disegni, le fotografie e le annotazioni che ne conseguono finiscono nel 1969 nella pubblicazione Arte Povera di Germano Celant.

«Animali, vegetali e minerali sono insorti nel mondo dell’arte. L’artista si sente attratto dalle loro possibilità fisiche, chimiche e biologiche, e rinizia a sentire il volgersi delle cose del mondo, non solo come essere animato, ma come produttore di fatti magici e meraviglianti. L’artista-alchimista organizza le cose viventi e vegetali in fatti magici, lavora alla scoperta del nocciolo delle cose, per ritrovarle ed esaltarle. […] Come un organismo a struttura semplice, l’artista si confonde con l’ambiente, si mimetizza con esso, allarga la sua soglia di percezione; apre un rapporto nuovo con il mondo delle cose» scrive il critico per designare il gruppo di artisti che riconduce all’Arte Povera. Giuseppe Penone è il più giovane fra i protagonisti del movimento teorizzato da Celant e vi aderisce mantenendo però sempre una forte personalità e indipendenza.

Veduta della mostra 'Giuseppe Penone. Impronte di luce' alla Fondazione Ferrero, Alba. Foto © Muratore Murialdo_2.jpg

Veduta della mostra 'Giuseppe Penone. Impronte di luce' alla Fondazione Ferrero, Alba

  • © Murialdo Muratore

Tra i diversi interventi che l’artista realizza per il progetto Alpi Marittime, ve n’è uno che merita un’attenzione particolare: Continuerà a crescere tranne che in quel punto. Penone impugna il tronco di un giovane albero e memorizza questo gesto sostituendolo con una mano in ferro, poi fusa in acciaio e in bronzo. In tal modo, nel corso della sua crescita, il tronco si deformerà modellandosi attorno alla stretta del metallo.

Albero come elemento vitale in espansione e accrescimento continuo, alla sua forza aderisce la mia forza.

Giuseppe Penone

Le riflessioni sul valore del contatto, sul corpo come metro e strumento e sulla relazione tra natura e cultura che caratterizzano quest’opera giovanile segneranno buona parte delle ricerche successive. L’albero, in particolare, con il suo aspetto così simile a quello della figura umana, è fin da subito un elemento centrale nel lavoro di Penone, che vi intravede «l’idea prima e più semplice di vitalità, di cultura, di scultura». L’artista inizia a creare i suoi primi Alberi nel 1969, proseguendo nei decenni successivi fino a creare un bosco assortito, oggi disseminato nei musei e nelle collezioni di tutto il mondo. Scorticando una trave e seguendo un anello di crescita della pianta, Penone ne riporta alla luce il tronco e i rami, così com’erano prima che l’albero venisse reciso, come in una sorta di ritorno alle origini, alla forma primaria.

Rovesciare i propri occhi (1970) è un altro lavoro emblematico del giovane Penone. Lo spiazzamento e il ribaltamento nascono ancora una volta da un’azione minima eppure efficacissima: l’artista indossa delle lenti a contatto specchianti e si fa fotografare. Privato del suo sguardo, Penone non percepisce ma riflette nei suoi occhi ciò che gli sta davanti. «Le lenti a contatto specchianti coprono l’iride e la pupilla, indossandole mi rendono cieco […] poste sull’occhio, indicano il punto di divisione, di separazione da ciò che mi circonda. Sono come la pelle un elemento di confine» dichiara.

Veduta della mostra 'Giuseppe Penone. Impronte di luce' alla Fondazione Ferrero, Alba. Foto © Muratore Murialdo_1.jpg

Veduta della mostra 'Giuseppe Penone. Impronte di luce' alla Fondazione Ferrero, Alba

  • © Muratore Murialdo

E a proposito di pelle e di confine, l’artista inizia in questo periodo una interessante investigazione sul senso del tatto, lavorando a diversi cicli di opere (Svolgere la propria pelle, Pressione, Palpebre) che portano l’attenzione sui tanti segni, volontari e involontari, che i corpi disseminano nell’ambiente, in primis con le impronte. Testimone di esistenza, per Penone l’impronta della pelle è «l’immagine più democratica che si possa trasmettere. […] identifica l’uomo indipendentemente dalla sua cultura o dalla sua intelligenza. È un’immagine che riconduce l’uomo alla materia, alla natura».

Non solo la pelle, ma anche il respiro per Penone lascia un’impronta nel mondo: nel 1978, espone il suo primo Soffio, avviando una serie di sculture in terracotta simili a vasi, che recano l’impronta del corpo e della bocca dell’artista, così da visualizzare e materializzare il volume del respiro umano, l’azione di soffiare contro il proprio corpo. Anche Soffio di foglie riflette sulle tracce lasciate dal corpo umano nella natura, in questo caso su un letto di foglie.

Lo storico dell’arte e filosofo Georges Didi-Huberman scriverà che quella di Penone è una scultura «che trasforma gli oggetti in azioni sottili», e in effetti a dare origine alle sculture dell’artista piemontese sono gli atti e i piccoli gesti compiuti in rapporto dialettico con gli eventi della natura. Tutti i lavori di Penone nascono dal dato naturale e dalle caratteristiche dei materiali scelti, partendo dal principio che la materia non è solo solida ma è anche energia, qualcosa di fluido e mutevole, e suggerendoci che la natura è un grande ecosistema in cui ogni elemento fluisce ed è parte integrante, dall’essere umano alle foglie, dall’acqua alle pietre.

Ciò che mi è sempre piaciuto nel caso dei vegetali in generale è questa contraddizione che ce li fa vedere solidi e statici mentre, in realtà, sono in un’evoluzione, in un movimento permanente che ci sfugge perché la nostra vita è limitata nel tempo.

Giuseppe Penone

Ecco dunque l’artista realizzare una serie di opere – Patate e Zucche – sfruttando la proprietà organica del vegetale di modificare la propria forma a contatto con un altro corpo. Dopo aver prodotto dei calchi in gesso del suo volto, Penone li posiziona accanto alle patate e alle zucche in crescita. Con il tempo, gli ortaggi assumono in parte la sua fisionomia. Una volta giunti a maturazione, poi, l’artista li impiega come modelli per fusioni in bronzo.

06:19

Intervista a Giuseppe Penone

Diderot 13.06.2022, 18:15

  • Keystone
  • Maria Cristina Minicelli - Diderot

Dal 1981, invece, con Essere fiume Penone riproduce perfettamente le forme di una pietra levigata per decenni da un fiume. Attraverso gli strumenti dello scultore, ricrea esattamente l’azione dell’acqua che, a poco a poco, stacca la pietra dal monte e la modella.

Nel corso degli anni successivi, Penone continua a reinventare la pratica della scultura, anche attraverso il rinnovamento di tecniche tradizionali come il calco o la fusione a cera persa, e a cercare nella natura stimoli e ispirazione, concentrando il suo interesse soprattutto sulle analogie tra forme culturali e naturali. «Le vene d’acqua che sgorgano dal terreno scorrono in rivoli che confluiscono, come i rami nel tronco, come le dita nel palmo di una mano, come il bronzo nella matrice di un albero» dichiara. Associando materie diverse, l’artista ne sottolinea le affinità, operando delle commistioni e ribadendo l’idea della comune essenza dell’esistente. Nascono così gruppi di opere come Anatomie, Trappole di luce, Albero delle vertebre, Propagazioni, Respirare l’ombra, Pelle di marmo e spine d’acacia, evocazioni di paesaggi in cui esseri umani, animali, vegetali e minerali si sovrappongono e si confondono.

Giuseppe Penone, Impronte di luce [dettaglio], 2023. Foto © Archivio Penone, by SIAE 2024.jpg

Giuseppe Penone, Impronte di luce [dettaglio], 2023

  • © Archivio Penone, by SIAE 2024

Una passeggiata nel Giardino delle sculture fluide, all’interno del parco della Reggia di Venaria, poco fuori Torino, è un modo eccellente per conoscere da vicino l’arte affascinante di Giuseppe Penone. Ultimato nel 2007, questo percorso sensoriale composto da quattordici opere (tra le quali Idee di pietra, Tra scorza e scorza, Disegno d’acqua, Pelle di marmo, Cervello di pietre, Direzione verso la luce e Direzione verso il centro della terra) è un sorprendente luogo di contemplazione ed esplorazione. Un luogo che accoglie e condensa la poetica di un artista capace di restituire, con un linguaggio essenziale eppure pregnante, arcaico e contemporaneo al tempo stesso, tutta la forza e la bellezza degli elementi e dei processi naturali, mostrandoci il rapporto simbiotico ed empatico che intratteniamo con essi.

Fino al 16 febbraio alla Fondazione Ferrero di Alba è allestita l’antologica Giuseppe Penone. Impronte di luce. Attraverso una selezione di opere dagli anni Sessanta a oggi, la mostra offre un percorso ampio e articolato, incentrato in particolar modo sul tema dell’impronta, indagato da Penone fin dai suoi esordi.

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