Arte

L’uomo tra natura, high-tech e… brugola

Desiderio di innovazione, capacità immaginativa e confronto con la memoria storica permettono all’architettura di costruire spazi di vita per l’uomo tra identità del passato e progetto futuribile

  • 8 settembre, 08:19
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Di: Romano Giuffrida 

Seul, Chicago o Berlino?

«Tutto è uguale, tutto è ibridato. (…) In tutto il mondo sembrano “vincere” le stesse architetture… Prendi una rivista, la sfogli e non sai se quell’architettura è stata costruita al Polo Sud o al Polo Nord». Sono parole di Mario Botta (1943) rilasciate in una intervista a Il Giornale dell’architettura.

L’architetto ticinese è considerato uno degli ultimi grandi eredi della cultura del Moderno, ma nello stesso tempo, uno dei grandi autori del primo Postmoderno. Botta, infatti, ha coniugato il rigore del modernismo appreso da architetti come Le Corbusier (1887-1965), Louis Khan (1901-1974) e soprattutto Carlo Scarpa (1906-1978), relatore della sua tesi di laurea all’università di Venezia (e il cui riferimento “storico” era Frank Lloyd Wright), con il proprio desiderio di interpretare «l’eccezione e la differenza come valori», un principio che è stato alla base di molto pensiero progettuale postmoderno.

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arch. Mario Botta - Casa unifamiliare a Morbio superiore

A differenza delle scelte di altri architetti, il postmodernismo di Mario Botta allo “spensierato” ecclettismo del citazionismo o del détournement, preferisce una progettazione che, con un attento lavoro sulle forme, la geometria e la luce, ponga al centro l’uomo e il suo ambiente (geografico, storico e culturale), con l’obiettivo della trasformazione della natura in cultura. Per l’architetto, infatti: «La costruzione dello spazio di vita dell’uomo – l’architettura – è un elemento d’artificio rispetto alla natura (..) e, proprio in quanto atto di creazione, trasforma una condizione di natura in una condizione di cultura». Tra le molte, ne è una dimostrazione la Casa unifamiliare a Morbio superiore posta su un pendio tra la collina e il paese, dove la facciata concava fa parte del paesaggio circostante e permette alla luce (per Botta «fonte primaria del lavoro dell’architetto»), secondo la sua variabilità nel corso della giornata, di generare spazi sempre mutevoli.
 

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arch. Mario Botta - Casa unifamiliare a Morbio superiore (Interni, particolare)

La sua filosofia progettuale («Dobbiamo tornare a calibrare i progetti rispetto ai ritmi del sole, alle stagioni, alla natura»), poggia sulla convinzione che l’abitare debba riprendere i suoi significati originari, ricongiungersi cioè a quell’imprinting che fa coincidere l’abitare non solo con la funzione primaria di protezione ma anche con i valori metaforici sedimentati nel nostro subconscio, ossia con quelle memorie del passato che nel tempo hanno determinato la nostra identità.
 

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Non c’è però solo il passato remoto nella nostra memoria, il nostro immaginario è infatti “nutrito” dal passato prossimo e dal presente ed è proprio a ciò che si riferisce lo stile architettonico chiamato High-Tech, alta tecnologia. Anche se è nato negli anni Settanta e Ottanta come “fratello” del postmodernismo, in realtà dell’high-tech si possono trovare le radici già nel Manifesto dell’architettura futurista del 1914 dove, volendo applicare all’architettura la nuova tecnologia che si stava affermando, si dichiarava che i progettisti dovevano trovare ispirazione «negli elementi del nuovissimo mondo meccanico che abbiamo creato» perché «l’architettura come arte delle forme degli edifici secondo criteri prestabiliti è finita». Quella stessa volontà di ribellione contro le norme stabilite e di affermazione di una nuova estetica costruita sulla base degli sviluppi tecnologici, sono il cardine concettuale dell’architettura e del design high-tech.

Dal punto di vista architettonico ciò si è espresso nella costruzione di edifici che determinassero, sia dal punto di vista strutturale che da quello visivo, una frattura netta e definitiva con il contesto nel quale si inserivano. Come? Strutturalmente, utilizzando nella costruzione ogni nuovo dispositivo tecnologico a disposizione, e dal punto di vista estetico, volgendo lo sguardo verso il passato prossimo. La memoria alla quale ci si riferiva era quella relativa alla scenografia industriale dalla quale l’high-tech ha “rubato” a piene mani.

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architetti Renzo Piano, Richard Rogers - Centre Georges Pompidou - Parigi

Avete in mente il Centre Georges Pompidou di Rue Beaubourg a Parigi realizzato dagli architetti Renzo Piano (1937) e Richard Rogers (1933-2021)? Ecco, quel centro inaugurato nel 1977 è diventato il simbolo stesso dell’high-tech architettonico. Pur avendo “illustri” “concorrenti” come il Sainsbury Centre for Visual Arts di Norwich inaugurato nel 1978 e progettato dall’architetto inglese Norman Foster (1935) o la Willis Tower di Chicago con i suoi balconi sporgenti completamente in vetro al 103° piano e progettato degli architetti Bruce Graham (1925-2010) e Fazlur Khan (1929-1982), il Beaubourg, come viene chiamato “familiarmente”, ha fatto scuola. Così, tubi, scale mobili, ascensori, sistemi di ventilazione ossia tutto ciò che fino ad allora era rimasto “nascosto” divenne a vista e, insieme ad acciaio e il vetro, si trasformò in componente essenziale della nuova estetica edilizia.

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Lo stesso avvenne anche nell’architettura di interni dove prevalse il look industriale ovverosia l’utilizzo, decontestualizzato, di oggetti e materiali generalmente utilizzati nelle fabbriche: bidoni dell’olio usati come portaombrelli, pavimentazioni in gomma “a bolli” in stile metropolitana, tubature colorate a vista, sedie in acciaio e così via, in un gioco citazionista decisamente postmoderno. Questo però era il passato: oggi, nell’era digitale, l’high-tech style (che continua a essere una filosofia progettuale di riferimento nel mondo), ha assunto una connotazione marcatamente tecnologica.

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La casa del presente sembra infatti la scenografia di un film di fantascienza. C’è di tutto: dall’automazione domestica all’illuminazione “intelligente” (il tutto controllabile tramite comandi vocali o smartphone), dai tavoli che integrano schermi touch agli elettrodomestici con connettività Wi-Fi e assistenti vocali. Tutto bello, certamente, ma una realtà solo per ricchi technology addicted (che suona meglio di dipendenti dalla tecnologia…): per ora, e probabilmente ancora per molto tempo, la maggioranza delle persone dovrà continuare la “lotta” con la brugola e le scatole di montaggio dei mobili…

36:00

ControLuce - Mario Botta

RSI Cultura 05.05.2002, 10:00

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