Arte

Luigi Ghirri, fotografare per rinnovare lo stupore

Con sguardo limpido e curioso, ha indagato il rapporto tra realtà e finzione, la memoria, lo statuto dell’immagine, intrecciando familiare e insondabile. In mostra al MASI fino al 26 gennaio 2025

  • 11 settembre, 07:23
Luigi Ghirri, Marina di Ravenna, 1986. Courtesy Eredi di Luigi Ghirri. © Eredi di Luigi Ghirri..jpg

Luigi Ghirri, Marina di Ravenna, 1986

  • Courtesy Eredi di Luigi Ghirri © Eredi di Luigi Ghirri
Di: Francesca Cogoni 

C’è una fotografia di Luigi Ghirri scattata a Scandiano nel 1971, nel primo periodo della sua attività di fotografo, che preanuncia in modo emblematico quella che sarà la sua poetica. Mostra in primo piano una rete metallica dietro alla quale si scorge un anonimo paesaggio di periferia. A interrompere il reticolato è una finestrella quadrata, come una piccola cornice che ci permette di “vedere oltre”. Vedere oltre è proprio ciò che Ghirri ha fatto per tutta la sua prolifica, e purtroppo breve, carriera fotografica: oltre il già noto, il già visto, il già vissuto, per trovarvi sempre qualcosa d’altro, un significato nuovo, con sguardo limpido e curioso. 

Luigi Ghirri, Scandiano, 1971

Luigi Ghirri, Scandiano, 1971

  • Eredi di Luigi Ghirri

Scomparso prematuramente il 14 febbraio 1992 all’età di 49 anni, Luigi Ghirri ha lasciato un’eredità visiva e culturale fatta di innumerevoli scatti e di una considerevole quantità di scritti: un lascito che non ha perso un grammo del suo fascino e del suo valore, anzi ne ha guadagnato. Per lui la fotografia era «una grande avventura del mondo del pensiero e dello sguardo, un grande giocattolo magico che riesce a coniugare miracolosamente la nostra adulta consapevolezza ed il fiabesco mondo dell’infanzia, un continuo viaggio nel grande e nel piccolo […]». Senza dubbio una delle definizioni più profonde che siano mai state date del linguaggio fotografico. 

Luigi Ghirri, Marina di Ravenna, 1972. Crediti fotografici CSAC, Università di Parma. © Eredi di Luigi Ghirri.jpg

Luigi Ghirri, Marina di Ravenna, 1972

  • Crediti fotografici CSAC, Università di Parma. © Eredi di Luigi Ghirri

Luigi Ghirri vedeva, appunto, la fotografia come un «viaggio attraverso le immagini», amava tanto «i viaggi sull’atlante» quanto quelli «domenicali minimi», e affermava: «Quando viaggio, faccio due tipi di fotografie, quelle solite, che fanno tutti, e che in fin dei conti mi interessano poco o niente, e poi le altre, quelle a cui veramente tengo, le sole che considero “mie” davvero». Un’ampia selezione di queste fotografie “davvero sue” è ora in mostra al MASI di Lugano fino al 26 gennaio 2025. Luigi Ghirri. Viaggi – Fotografie 1970-1991 approfondisce la fascinazione del fotografo per il viaggio ‒ che fosse reale o immaginario, a due passi da casa o sulle Dolomiti ‒, mostrando in modo efficace e suggestivo come Ghirri non mirasse a «creare una raccolta di momenti memorabili, né a sottolineare la bellezza o l’importanza di un luogo, ma a costruire un quadro riflessivo di una cultura definita e modellata dalle immagini e dalla loro creazione», come spiega il curatore del progetto espositivo James Lingwood.

Luigi Ghirri, Scandiano, presso la Rocca di Boiardo, 1985. Collezione Città di Lugano. Crediti fotografici Museo d'arte della Svizzera italiana, Lugano..jpg

Luigi Ghirri, Scandiano, presso la Rocca di Boiardo, 1985

  • Collezione Città di Lugano. Crediti fotografici Museo d'arte della Svizzera italiana, Lugano

Nato il 5 gennaio 1943 a Scandiano (RE), nell’immediato dopoguerra Luigi Ghirri si trasferisce con la famiglia presso il Collegio dei Gesuiti a Braida di Sassuolo, dove vengono accolte le persone sfollate dai centri urbani. È la campagna emiliana, con i suoi casolari, la fitta nebbia e i campi, lo scenario della sua infanzia e adolescenza. Fin da bambino, Ghirri ha un’indole curiosa, ama collezionare oggetti e cartoline e le foto che attirano maggiormente la sua attenzione sono quelle di paesaggio, che vede intercalate negli atlanti con le carte geografiche. Ma c’è un’immagine in particolare che lo colpisce e che segnerà per sempre il suo modo di “vedere”. È il 1969 e, dopo essersi spostato a Modena e aver conseguito il diploma di geometra, Ghirri lavora in un ufficio tecnico; al contempo, però, inizia a interessarsi al medium fotografico. L’immagine in questione è quella della Terra scattata dall’astronauta William Anders mentre si trova in orbita attorno alla Luna. È la prima foto in assoluto del mondo visto dallo spazio. Ad affascinare il giovane Ghirri non è l’imminente approdo dell’uomo sul suolo lunare, bensì il fatto che tale immagine della Terra vista “da fuori” contenga «tutte le immagini precedenti, incomplete, tutti i libri scritti, tutti i segni decifrati e non. […] graffiti, affreschi, dipinti, scritture, fotografie, libri, film». L’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande si mescolano mostrandosi come un «geroglifico-totale» da interpretare e tradurre. È da qui che prende avvio la riflessione di Ghirri sul linguaggio fotografico.

Luigi Ghirri, Rimini, 1977. Courtesy Eredi di Luigi Ghirri. © Eredi di Luigi Ghirri.jpg

Luigi Ghirri, Rimini, 1977

  • Courtesy Eredi di Luigi Ghirri. © Eredi di Luigi Ghirri

Nel corso degli anni, l’autore emiliano dà vita a una serie di progetti che si intersecano ‒ Paesaggi di cartone, Kodachrome, Colazione sull’erba, Catalogo, Infinito («un possibile atlante cromatico del cielo» fotografato per 365 giorni di fila), Still-life, Identikit, Il paese dei balocchi, In scala… ‒ indagando il rapporto tra realtà e finzione, la percezione, la memoria, lo statuto dell’immagine, e facendovi confluire suggestioni provenienti da svariati ambiti: dalla letteratura all’arte, passando per la musica (i brani di Bob Dylan fanno da colonna sonora alle sue giornate e ai suoi viaggi in macchina). «Anche io non so dire se mi hanno illuminato di più i paesaggi musicali e poetici di Dylan, le sculture-architetture di Oldenburg, le visioni di Robert Frank o Friedlander, il rigore etico di Evans, o se invece sono state le cosmogonie di Brueghel, i fantasmi felliniani, le vedute degli Alinari, i silenzi di Atget, la precisione dei fiamminghi, la purezza di Piero della Francesca o i colori di Van Gogh» scrive passando in rassegna le sue molteplici ispirazioni e passioni. 

Luigi Ghirri, Lago Maggiore, 1984. Crediti fotografici CSAC, Università di Parma. © Eredi di Luigi Ghirri..jpg

Luigi Ghirri, Lago Maggiore, 1984

  • Crediti fotografici CSAC, Università di Parma. © Eredi di Luigi Ghirri

Ghirri ritrae il più delle volte luoghi, talvolta persone ‒ quasi sempre di spalle, colte nell’atto di osservare ‒ e poi manifesti, insegne, vetrine, frammenti di vita e di immagini trovate casualmente camminando per strada, dettagli a prima vista insignificanti e ordinari. Fotografa a colori perché «il mondo reale non è in bianco e nero». Non cerca la spettacolarizzazione, rifugge dall’enfasi e dalla retorica usando la fotografia come mezzo per «rinnovare lo stupore». Difatti, le sue immagini hanno l’effetto di piccole epifanie. 

Luigi Ghirri, Versailles, 1985. Collection Massimo Orsini, Mutina for Art. Crediti fotografici Massimo Orsini, Private Collection..jpg

Luigi Ghirri, Versailles, 1985

  • Collection Massimo Orsini, Mutina for Art. Crediti fotografici Massimo Orsini, Private Collection

Ad attirare fin da subito l’attenzione di critica e pubblico è proprio il perfetto equilibrio tra semplicità e densità che permea gli scatti di Luigi Ghirri, il suo modo asciutto di fotografare, che «guarda direttamente le cose; non ammicca, non cerca la complicità di chi guarda», come dichiara Franco Vaccari, altro fotografo emiliano, con cui Ghirri collaborerà sovente. Alla prima mostra personale a Modena nel 1972 ne seguiranno molte altre, sia in Italia sia all’estero.

Lasciato definitivamente il lavoro di geometra nel 1973, Luigi Ghirri si dedica alla fotografia a tempo pieno, anche in veste di curatore di progetti editoriali ed espositivi. Nel 1977, per esempio, fonda insieme a Paola Borgonzoni (sua futura moglie), Giovanni Chiaramonte, Ernesto Tuliozi, Ornella Corradini e Susetta Sirotti la casa editrice Punto e Virgola, che darà alle stampe numerosi volumi di rilievo, tra cui il primo libro fotografico di Ghirri, Kodachrome (1978), oggi diventato un libro culto.

Luigi Ghirri, Rifugio Grosté, 1983. Courtesy Eredi di Luigi Ghirri. © Eredi di Luigi Ghirri..jpg

Luigi Ghirri, Rifugio Grosté, 1983

  • Courtesy Eredi di Luigi Ghirri. © Eredi di Luigi Ghirri

Alla soglia degli anni Ottanta, lo sguardo dell’autore emiliano si rivolge in modo più specifico al tema del paesaggio. Mantenendosi sempre distante dall’iconografia tradizionale e dalle mete più turistiche e monumentali, Ghirri ricerca nel paesaggio tracce, segni, “zone della memoria”, punti marginali, periferici, autentici, conferendo alla luce e ai colori, via via più rarefatti, un ruolo ancora più importante. In questo periodo, diventano più assidue le collaborazioni con urbanisti, architetti, filosofi e scrittori, come Gianni Celati, con cui Ghirri instaura un fertile sodalizio intellettuale che darà origine a diversi progetti, tra cui lo splendido libro-mostra intitolato Il profilo delle nuvole. Tra i lavori più significativi di questi anni ci sono anche Paesaggio Italiano, Viaggio in Italia ed Esplorazioni sulla Via Emilia, per i quali Ghirri chiama a raccolta numerosi autori, sensibili come lui al tema delle trasformazioni paesaggistiche in corso. Non va poi dimenticata la grande amicizia con il cantautore Lucio Dalla, che il fotografo seguirà nella sua tournée americana del 1986.  

Luigi Ghirri, Capri, 1981. Courtesy Eredi di Luigi Ghirri. © Eredi di Luigi Ghirri..jpg

Luigi Ghirri, Capri, 1981

  • Courtesy Eredi di Luigi Ghirri. © Eredi di Luigi Ghirri

Guardando in successione le tante immagini realizzate da Luigi Ghirri, ci rendiamo conto che è un vero e proprio “atlante sentimentale”, fortemente evocativo, quello che l’autore ha costruito nei suoi vent’anni anni di appassionata ricerca. In tal senso, colpiscono queste sue parole: «È difficile dire perché una stanza, le pietre di una strada, un angolo di giardino mai visto, un muro, un colore, uno spazio, una casa diventino improvvisamente familiari, nostri. Sentiamo che abbiamo abitato questi luoghi, una sintonia totale ci fa dimenticare che tutto questo esisteva e continuerà ad esistere al di là dei nostri sguardi. Mettendoli in fila, uno dopo l’altro, questi luoghi formano una specie di sequenza strana fatta di pietre, chiese, gesti, luci, nebbie, rami coperti di brina, mari azzurri; diventano il nostro paesaggio impossibile, senza scala, senza un ordine geografico per orientarci; un groviglio di monumenti, luci, pensieri, oggetti, momenti, analogie formano il nostro paesaggio della mente che andiamo a cercare, anche inconsciamente, tutte le volte che guardiamo fuori da una finestra, nell’aperto del mondo esterno, come fossero i punti di un’immaginaria bussola che indica una direzione possibile». 

Luigi Ghirri, Arles, 1979. Collection Massimo Orsini, Mutina for Art. Crediti fotografici Massimo Orsini, Private Collection..jpg

Luigi Ghirri, Arles, 1979

  • Collection Massimo Orsini, Mutina for Art. Crediti fotografici Massimo Orsini, Private Collection

Autore, osservatore e pensatore profondo e poetico, Luigi Ghirri ha sempre rifiutato vincoli ed etichette, senza preoccuparsi di proporre o rincorrere uno stile. Eppure oggi, guardando il suo sconfinato ed eterogeneo corpus fotografico, non possiamo fare a meno di scorgervi una cifra stilistica inconfondibile e unica. Le sue immagini sono immediatamente riconoscibili perché contraddistinte da quello straordinario intreccio di familiare e insondabile che, al netto delle tante emulazioni, solo Ghirri è stato in grado di trasmettere.  

Prendendo in prestito una frase di Giordano Bruno, Ghirri era solito dire che «le immagini sono enigmi che si risolvono con il cuore». Ed è proprio così: tutto il suo lavoro racchiude enigmi che possiamo sciogliere purificando il nostro sguardo, osservando senza filtri, lasciando i pensieri e le emozioni liberi di vagare, interrogandoci senza pretendere risposte certe o immediate.

(Tutte le citazioni sono tratte dal volume Luigi Ghirri. Niente di antico sotto il sole. Scritti e interviste, Quodlibet, 2021).

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Ghirri, vedere oltre

Voci dipinte 08.09.2024, 10:35

  • Crediti foto: CSAC, Università di Parma masilugano.ch

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