Giocavo con grande serietà e a un certo punto i miei giochi li hanno chiamati arte
Maria Lai
L’8 settembre del 1981, il piccolo e silente paese di Ulassai, posto tra i monti dell’Ogliastra, nella Sardegna centro-orientale, fu teatro di un singolare evento, o meglio un rito collettivo. Ventisei chilometri di nastro celeste di tessuto di jeans furono srotolati per l’intero centro abitato, fino a raggiungere la montagna sovrastante, abbracciando strade e tetti, collegando case e persone, appianando conflitti e superando resistenze. Tutta la comunità, compresi anziani e bambini, fu protagonista di questa effimera opera ambientale intitolata Legarsi alla montagna. Una memorabile azione corale che ha rappresentato il primo vero episodio di “arte relazionale” in Italia, precorrendo pratiche che si sarebbero affermate negli anni successivi. A ideare questa straordinaria operazione fu Maria Lai, artista che proprio in quell’appartato e impervio angolo di Sardegna era nata molti anni prima, il 27 settembre 1919. Chiamata dall’amministrazione comunale a realizzare un monumento ai caduti, Maria Lai scelse invece di realizzare nel suo paese natale un evento per i vivi, scontrandosi con l’iniziale reticenza dei committenti e degli abitanti. L’ispirazione le giunse da un’antica fiaba del luogo: una bambina mandata sulla montagna a portare del pane ai pastori si rifugia in una grotta per scampare a un temporale, ma l’apparizione di un nastro celeste portato dal vento la trascina miracolosamente fuori dal rifugio, salvandola da una frana. Questa è soltanto una delle tante fiabe, leggende e racconti popolari che nutrirono l’immaginario di Maria Lai, artista che ha lasciato un’impronta incisiva e radiosa nell’arte contemporanea italiana. «L’uomo ha bisogno di mettere insieme il visibile e l’invisibile perciò elabora fiabe, leggende, feste, canti, arte», sosteneva.
Spinta da una incrollabile forza creatrice che l’ha accompagnata fino alla morte, avvenuta nel 2013, Maria Lai è stata un’artista profondamente libera, tra le più innovative della sua generazione. Mai allineata a correnti e mode, schiva e riservata, bisognosa del silenzio e della solitudine dello studio, è stata capace di generare e raccontare mondi infiniti, attraverso stoffe, fili, sughero, pane, legno, terracotta, materiali poveri e legati al quotidiano plasmati e assemblati con gioiosa alchimia. Fu proprio l’ansia di infinito a portarla più volte altrove, via dalla sua terra ‒ «Il viaggio è la casa […] La vera nostalgia non è quella per un’isola. È l’ansia di infinito» ‒ e a indurla a sperimentare le più diverse tecniche espressive, a fondere tradizione e avanguardia in modo originalissimo e affascinante.
Maria Lai: opere
Non aveva tutti i torti suo padre, quieto veterinario, a definirla da bambina una “capretta ansiosa di precipizi”. Seconda di cinque figli, irrequieta e dalla salute cagionevole, Maria Lai trascorre la sua infanzia nella casa di campagna degli zii, dove si diletta a ricoprire di fantasiosi disegni le pareti della sua stanza usando i pezzi di carbone lasciati nel camino. Viene poi mandata a studiare a Cagliari, dove conosce lo scrittore Salvatore Cambosu, suo insegnante di Italiano, figura che avrà un ruolo chiave nel suo percorso formativo e di vita. È lui a inculcarle l’amore per la poesia, rassicurandola e stimolandola: «non importa se non capisci, segui il ritmo». Poi nel 1940, ecco il grande volo verso il “Continente”: prima a Roma, per frequentare il Liceo artistico, e poi dal ’42 al ’45 a Venezia, per seguire il corso di scultura tenuto da Arturo Martini all’Accademia di Belle Arti. Sono anni difficili e intensi, ma essenziali per la crescita artistica di Maria Lai che, finita la guerra, torna per qualche tempo nell’isola natia, riallacciando i rapporti con Cambosu, per il quale trascrive sotto dettatura le poesie, i canti e le leggende della terra sarda, che successivamente sfoceranno nella importante raccolta Miele Amaro, inesauribile fonte di suggestioni e ispirazioni per Maria Lai. Ma è proprio Cambosu, consapevole del suo grande talento, a spronarla a tornare a Roma per emanciparsi e affermarsi come artista. Stabilitasi nuovamente nella capitale, Maria Lai ottiene nel 1957 la sua prima mostra personale nella nota galleria Obelisco (è l’unica donna a esporvi in quell’anno). La città pullula di artisti, mostre, tendenze, ma lei si tiene in disparte, non ama la mondanità, preferisce sviluppare autonomamente la sua ricerca, che proprio a partire dagli anni Sessanta si muove verso territori inesplorati, oltre i tradizionali linguaggi del disegno, della pittura e della scultura. Prima ci sono i telai e i pani, elementi legati all’artigianato sardo, privati della loro funzione abituale e trasformati in opere foriere di simbologie e rimandi arcaici; poi gli splendidi libri cuciti, in stoffa e carta, dove il filo va a formare ora scritture comprensibili ora alfabeti immaginari per poi ricadere ingarbugliato e sfilacciato fuori dalle pagine; e poi ancora, le geometrie-geografie, cartografie favolose evocanti mondi remoti, visionari. Fino a giungere alle opere ambientali e partecipative, calate nel territorio e tese a creare un rapporto più diretto e forte con il pubblico.
Il sopraccitato intervento Legarsi alla montagna è infatti il primo di una lunga serie di progetti che tra gli anni Ottanta e i Duemila vede Maria Lai operare soprattutto in Sardegna, in particolare a Ulassai per creare un vero e proprio museo diffuso a cielo aperto, con opere suggestive e imponenti come La scarpata, La strada del rito, L’arte ci prende per mano e Fiabe intrecciate, omaggio a Gramsci. Un periodo fervido e carico di entusiasmo che culmina, nel 2006, nell’apertura della Stazione dell’Arte, peculiare museo che sorge negli spazi della vecchia stazione ferroviaria costruita poco fuori del paese, custode di oltre un centinaio di opere donate dall’artista. Visitare questi luoghi è d’obbligo per chi volesse approfondire la conoscenza del magnifico cammino artistico di Maria Lai, rara creatrice che considerava l’arte come “il gioco degli adulti”, un potente mezzo di apertura e liberazione, di incontro e relazione. Con la spontaneità di una “bambina antichissima”, come lei stessa amava definirsi, con la sapienza artigiana di chi è cresciuta osservando le donne produrre pani dalla forme fantasiose e trame e ricami meravigliosi, con la lievità di una jana (piccola fata della tradizione popolare sarda), Maria Lai ha dato vita a opere struggenti, giocose e sincere. Generosa e ostinata proprio come la sua terra natia.