Quasi diecimila opere, tra acquerelli, disegni e dipinti a olio, in quarant'anni di carriera. Senza dimenticare la copiosa mole di scritti. È quanto ci ha lasciato Paul Klee. Ma la prolificità è solo uno degli aspetti che concorrono a fare di questo pittore e teorico dell'arte uno dei più significativi e influenti del Novecento. Ciò che più contraddistingue il cammino artistico di Klee è la natura stratificata, complessa, proteiforme e polisemica della sua produzione. Giulio Carlo Argan, nella prima prefazione dei Diari di Klee, la definì non a caso labirinto rettilineo. Una produzione che sfugge in gran parte alla categorizzazione e che è frutto di un instancabile e appassionato studio, di una formidabile inventiva e di una curiosità innata. Eloquente, a questo proposito, la similitudine fra l'artista e l'albero che Klee illustrò nel corso di una conferenza a Jena nel 1924: Quest'orientamento nelle cose della natura e della vita, questo complesso, ramificato assetto, mi sia permesso di paragonarlo alle radici di un albero. Di là affluiscono all'artista i succhi che ne penetrano la persona, l᾿occhio. L'artista si trova dunque nella condizione del tronco. Tormentato e commosso dalla possanza di quel fluire, egli trasmette nell'opera ciò che ha visto. E come la chioma dell'albero si dispiega visibilmente in ogni senso nello spazio e nel tempo, così avviene con l'opera.
Colto e visionario, schivo e determinato, poetico e ironico, Klee era fermamente convinto del potere dell'arte di elevare l'uomo. Anziché riprodurre fedelmente il visibile, per lui il gesto artistico doveva rendere visibile ciò che normalmente resta celato, ignoto, inespresso. Proposito che si esplica attraverso un linguaggio espressivo in continua evoluzione, dove la linea, ora retta ora tortuosa, dapprima sottilissima e poi sempre più spessa, dà forma a mondi sospesi tra terreno e ultraterreno, dimensione fisica e spirituale, mescolando in modo sorprendente l'astrazione e la geometria con il naturale e l'organico.
Nato a Münchenbuchsee, nei pressi di Berna, il 18 dicembre 1879, secondogenito di un insegnante di musica tedesco e di una cantante svizzera, Klee frequenta il ginnasio a Berna. Dopo la maturità, incerto se seguire la strada della musica, della poesia o della pittura, sceglie infine quest'ultima, senza però mai abbandonare le altre due passioni (abile violinista, nel corso della sua vita scriverà anche numerose poesie). Frequenta dunque la scuola privata di disegno di Heinrich Knirr a Monaco e poi, nel 1900, viene ammesso all'Accademia di Belle Arti di Monaco, sotto la guida di Franz von Stuck. In questi anni conosce la sua futura moglie, la pianista Lily Stumpf, e viaggia per sei mesi lungo l'Italia insieme all'amico scultore bernese Hermann Haller. La ricchezza dell'arte italiana lo affascina e lo turba al contempo, e contribuisce a formare l'idea di sé come primitivo moderno. Rimane impressionato in particolare dall'arte paleocristiana, dal Quattrocento fiorentino e dalla pittura pompeiana.
Dopo il matrimonio, Klee si trasferisce a Monaco, nel quartiere di Schwabing, frequentato da molti artisti, tra cui Kandinskij, che diventerà suo grande amico. Nel 1912, partecipa alla seconda mostra del gruppo Der Blaue Reiter (Il Cavaliere Azzurro), fondato da Kandinskij e Franz Marc, dopodiché si reca a Parigi dove ammira il lavoro di Georges Braque e di Pablo Picasso, e dove conosce Robert Delaunay, quindi in Tunisia con gli amici August Macke e Louis Moilliet. Quello nel Paese nordafricano è per Klee un altro viaggio rivelatore: da questo momento in poi il colore diventa un elemento centrale nella sua pittura. Nei suoi diari, scritti con trasporto e dovizia di particolari dal 1898 al 1918, alla data del 16 aprile 1914 leggiamo: Interrompo il lavoro. Un senso di conforto penetra profondo in me, mi sento sicuro, non provo stanchezza. Il colore mi possiede. Non ho bisogno di tentare di afferrarlo. Mi possiede per sempre, lo sento. Questo è il senso dell'ora felice: io e il colore siamo tutt'uno. Sono pittore.
Nel frattempo, scoppia la Grande Guerra. Gli amici Marc e Macke cadono sul fronte. Klee ne è estremamente scosso. Il trauma della guerra si riflette anche nella scelta di un linguaggio espressivo che rifugge il mondo materiale, forme e figure subiscono un progressivo processo di astrazione. Anche Klee viene arruolato nella fanteria dell'esercito tedesco nel 1916, ma fortunatamente gli viene affidato un lavoro d'ufficio e, nonostante i continui trasferimenti e impegni, può continuare la sua attività artistica.
Nel 1920, giunge un'importante opportunità: Klee è invitato da Walter Gropius a insegnare presso l'innovativa scuola di architettura, arte e design Staatliches Bauhaus. Per l'occasione, l'artista si trasferisce con la famiglia prima a Weimar e poi a Dessau, e per dieci anni diventa uno dei maestri più influenti della scuola, un mentore per tanti studenti, poi divenuti affermati artisti e designer, come Anni Albers, che farà tesoro dell'insegnamento di Klee, e in modo particolare della sua concezione del disegno: una linea è un punto che è andato a fare una passeggiata. Molte delle illuminanti lezioni di Klee confluiranno nella raccolta di scritti Teoria della forma e della figurazione, pubblicata postuma e considerata tra i capisaldi delle teorie estetiche del Novecento.
Intanto, le mostre dedicate a Klee si moltiplicano: Berlino, New York, a Parigi partecipa alla collettiva La peinture surréaliste accanto a Max Ernst, Joan Miró e Pablo Picasso, a Venezia espone presso il padiglione tedesco della Biennale d'Arte. E la critica ne tesse le lodi: il tedesco Leopold Zahn scrive sulla rivista “Valori Plastici”: «Il genio di Paul Klee si libra in serenità cosmica al di sopra delle cose appartenenti alla realtà. […] Il campo artistico di Klee abbraccia l'infinito: mondi morti, presenti e futuri, la vita nel fondo del mare e sugli astri».
Lasciato il Bauhaus, Klee inizia a insegnare presso l'Accademia di Belle Arti di Düsseldorf, ma nel 1933 viene sospeso dall'insegnamento dai nazisti. Di lì a poco la sua arte verrà considerata “degenerata”, le sue opere confiscate dai musei pubblici tedeschi. Klee lascia dunque la Germania, ormai pervasa dall'ideologia nazionalsocialista, per trasferirsi definitivamente a Berna. L'ultimo decennio della sua vita è segnato da una malattia grave e incurabile, la sclerodermia. Tuttavia, nonostante le pessime condizioni di salute, il 1939 è incredibilmente l'anno più produttivo della sua vita: realizza e cataloga circa 1250 lavori, come preso da un indomabile fervore creativo. L'anno dopo, il 29 giugno, il pittore muore in una clinica a Muralto (Locarno).
Sulla sua tomba, nel cimitero di Schlosshalde a Berna, campeggia l'epitaffio: Nell'al di qua non mi si può afferrare. Ho la mia dimora tanto tra i morti quanto tra i non nati. Più vicino del consueto al cuore della creazione, ma ancora non abbastanza vicino. Pubblicata per la prima volta nel 1920, nel catalogo della prima retrospettiva dedicata a Klee, presso la Galleria di Hans Goltz a Monaco, questa frase può essere colta come una dichiarazione-manifesto. È come se l'artista, per Klee, si trovasse fra due mondi, sulla soglia tra ciò che appare visibile, tangibile e manifesto e ciò che è misterioso, sfuggente, eppure carico di possibilità. Il che vuol dire anche, sul piano formale ed espressivo, muoversi in bilico tra gli echi del passato e la tensione verso il nuovo. Un mondo liminare, insomma, che Klee ha abitato in modo esemplare per tutta la vita, con attitudine un po' avanguardista e un po' archeologica, dedicandosi alla ricerca di quei codici archetipici capaci di svelare i segreti del cosmo, di quegli alfabeti primigeni che tanto lo affascinavano e di cui ritroviamo traccia nei suoi lavori, a mano a mano sempre più colmi di segni, arabeschi, grafemi, ma anche di figure enigmatiche ed eteree, angeli e idoletti che emergono tra campiture di colore stese con grazia e spiccato senso del ritmo. Klee era convinto che le origini primordiali dell'arte fossero da rintracciare in un museo etnografico, o nella stanza dei bambini, piuttosto che nei musei di storia dell'arte. E visto che parliamo di bambini, non possiamo non ricordare i bellissimi burattini fatti di oggetti e materiali di recupero che Klee realizzò per suo figlio Felix.
Si sono aperti e si aprono per noi mondi che appartengono anche alla natura, ma nei quali non tutti gli uomini possono penetrare con uno sguardo, che è forse solo dei bambini, dei pazzi, dei primitivi, leggiamo ancora nei suoi diari. Ebbene, Klee è riuscito a penetrare questi mondi scrutando in modo spontaneo, vasto e profondo.