Arte

Rita Ackermann

Verso il nascosto

  • 25 aprile 2023, 12:16
  • 14 settembre 2023, 09:01
Rita Ackermann. Foto Daniel Turner

Rita Ackermann

Di: Francesca Cogoni 

Suona strano e spiazzante, in tempi di ipervisibilità e iperpresenzialismo, dell’esserci a tutti i costi, sentire parlare di nascondimento, eppure per la pittrice Rita Ackermann “restare nascosti è più radicale che sfruttare il potere della velocità”. Classe 1968, nata a Budapest ma residente da oltre trent’anni a New York, Rita Ackermann è protagonista di un’affascinante retrospettiva allestita al MASI di Lugano fino 13 agosto 2023. Una mostra che, attraverso una cinquantina di opere tra dipinti e disegni, racconta un percorso artistico per nulla scontato, contrassegnato da una crescente consapevolezza e da un costante anelito di libertà.

Rita Ackermann, Sketchbook Drawing 3, 1993

Rita Ackermann, Sketchbook Drawing 3, 1993

  • © Rita Ackermann. Courtesy the artist and Hauser & Wirth

Nel catalogo che accompagna la mostra ticinese (ed. Mousse Publishing), l’artista descrive così la sua evoluzione: “Le cose, quando si nascondono, riescono a essere più libere e a librarsi più in alto. Figure dissimulate in trame di immagini sovrapposte possono dissolversi nell’astrazione. Nelle mie prime opere, a partire dal 1993-1996, le figure si rivelavano essenzialmente come concetto, per ottenere visibilità. Poco più tardi, avrei scoperto i temibili effetti dell’abbandonarsi al culto del pop. Per questo ho rinunciato a tutte quelle immagini che erroneamente venivano interpretate come espressione di sé: l’ho fatto per allontanare la mia traiettoria da tentativi di rivelazioni categoriche e per restare una pittrice nascosta e libera”.

Difatti, la traiettoria che Rita Ackermann ha seguito, dagli esordi nei primi anni Novanta fino a oggi, è un progressivo, equilibrato passaggio dalla figurazione all’astrazione, dall’immagine al gesto, dalla chiarezza al caos armonico, per approdare a una pittura stratificata, complessa, colma di significati latenti e reconditi, e intrisa di mistero (Hidden è, non a caso, il titolo scelto per la mostra al MASI). Una pittura, inoltre, che amalgama in modo esemplare suggestioni eterogenee attinte dagli ambiti e dai mondi più diversi: dalle fiabe, i miti e le leggende assimilati durante l’infanzia trascorsa nell’Ungheria comunista all’ammirazione per pittori come Paul Gauguin (incontrato per la prima volta al Museo di Belle Arti di Budapest); dalla passione per il cinema al forte interesse per le teorie del filosofo Paul Virilio.

Rita Ackermann, Where did we come from, Where are we going, Who are we, 1994

Rita Ackermann, Where did we come from, Where are we going, Who are we, 1994

  • © Rita Ackermann. Courtesy the artist and Hauser & Wirth

La prima fase della formazione artistica di Rita Ackermann ha luogo nelle aule dell’Università ungherese di Belle Arti di Budapest tra il 1989 e il 1992. Poi, una svolta importante: una borsa di studio le offre l’opportunità di recarsi in America per frequentare la New York School of Drawing, Painting and Sculpture. Rapita dalla vitalità della Grande Mela, culla della scena artistica contemporanea, Ackermann decide di non fare ritorno nella sua terra natia ma di proseguire lì la sua vita e la sua promettente carriera.

“Quando New York mi ha adottata nel 1992, ero una ‘orfana’ ventitreenne senza alcun supporto lanciata sull’autostrada della cultura e della società americana. La città era generosissima, a ogni incontro mi offriva degli insegnamenti, anche se talvolta difficili. Il mio primo compagno di studio era un giovane stilista visionario. Intratteneva una corrispondenza con Martin Margiela e viveva al di sopra delle regole della società capitalistica – cioè, non lavorava per soldi o per pagarsi l’affitto. Un giorno sventrò il nostro impianto idraulico per fare delle migliorie. In piena distruzione uscì per andare dal ferramenta a prendere delle viti mancanti. Non tornò più, non lo vidi per sette mesi. Quando finalmente gli chiesi cosa fosse successo, mi disse: ‘Non aspettarti niente da nessuno; fai affidamento solo su te stessa in questa città e andrà tutto bene’”.

Rita Ackermann, Mama, Good Samaritan, 2021. Collection of Lisa Watson and Mike Krupka

Rita Ackermann, Mama, Good Samaritan, 2021. Collection of Lisa Watson and Mike Krupka

  • © Rita Ackermann. Courtesy the artist and Hauser & Wirth

E così è stato, complici una spiccata determinazione e un pizzico di fortuna. Tra le prime cose che Ackermann fa una volta sistematasi nella grande metropoli vi è quella di abbandonare il proprio cognome – Bakos – e adottare quello della nonna paterna, per preservare comunque il legame con la sua famiglia. L’artista dichiarerà anni dopo: “È utile recidere le proprie radici e imparare tutto da capo in una nuova cultura, senza perdere ciò che sei. Solo così puoi avvicinarti alla tua essenza e missione: capire perché sei qui”.

Rita Ackermann: In the Studio (H&W, 11 settembre 2020)

In breve tempo, lo studio dell’artista nella Quarantaduesima strada diventa meta di estimatori, critici e galleristi, come Andrea Rosen, che nel 1994 decide di organizzare una mostra personale nella sua galleria d’avanguardia. Le immagini di Rita Ackermann suscitano subito molta attenzione: si tratta soprattutto di piccole e perturbanti figure femminili, adolescenti ammiccanti, dipinte in pose e situazioni diverse, spesso autodistruttive e rischiose. Un mix ambiguo e ammaliante tra cultura pop e fiaba, con echi di Gauguin (vedi in particolare il dipinto Where did we come from? Where are we going? Who are we?, che ricalca il celebre Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?).

“Quei primi dipinti hanno per me una forma performativa – sono performance di corpi in pericolo, di figure o corpi che mettono in atto delle situazioni con un atteggiamento di sopravvivenza utopistico” spiegherà l’artista.

Rita Ackermann, A Calm Garden Party, 1994

Rita Ackermann, A Calm Garden Party, 1994

  • © Rita Ackermann. Courtesy the artist and Hauser & Wirth

Negli stessi anni, Rita Ackermann adotta anche la tecnica del collage, realizzando composizioni costituite da ritagli di giornale, fotografie e illustrazioni, come nell’opera Calm Garden Party (1994). Immagini della storia dell’arte, grafiche dei fumetti e fotogrammi cinematografi vengono ripresi e rielaborati dall’artista in modo estremamente libero e spontaneo.

Dopo questa prima fase, però, il linguaggio di Rita Ackermann inizia a mutare e a imboccare la strada dell’astrazione: le piccole figurine conturbanti a poco a poco cedono il posto a immagini evanescenti e indistinte. Questo processo di dematerializzazione e dissolvenza della forma porta alla nascita, dapprima, dei cosiddetti chalkboard paintings (dipinti-lavagna), dove ad acquistare preminenza è il gesto della cancellatura: nel ciclo di dipinti Meditation on Violence (titolo preso in prestito da un cortometraggio della regista Maya Deren), per esempio, Ackermann disegna con un gessetto delle figure su “lavagne” di colore verde ottenute con una vernice spray applicata sulla tela. Quindi, cancella le figure usando un pennello e del pigmento, creando scie di pittura che conservano tracce delle immagini precedenti. Il risultato ha un che di etereo ed enigmatico, richiamando il linguaggio sperimentale della Deren, pioniera del cinema d’avanguardia.

Rita Ackermann, Mama, Safe Crossing, 2019. Burger Collection, Hong Kong

Rita Ackermann, Mama, Safe Crossing, 2019. Burger Collection, Hong Kong

  • © Rita Ackermann. Courtesy the artist and Hauser & Wirth

Lo step successivo in questo graduale processo di astrazione della forma nell’opera di Rita Ackermann ha avvio con la serie di dipinti Mama, iniziata nel 2018. Osservando opere come Mama, Safe Crossing o Mama, Good Samaritan, ci rendiamo conto che la rappresentazione figurativa è oramai rimpiazzata, o meglio, occultata da ampie campiture di colore sgargiante, strati e strati di pittura a olio. La tela è pervasa da linee, figure e motivi che appaiono e scompaiono, affiorano in superficie per poi dissolversi, in virtù di una stratificazione mutevole, di un incessante oscillare tra figurazione e astrazione, presenza e assenza. “Il nostro mondo si muove a gran velocità e cambia di continuo, cancellando sé stesso in un’estetica della sparizione”: impossibile non pensare a queste parole del filosofo Paul Virilio, tratte dal saggio Estetica della sparizione, punto di riferimento fondamentale dell’artista.

Tra le opere più recenti di Rita Ackermann vi è la serie dei War Drawings (2022). Attraverso olio, matita grassa e acrilico, la pittrice dà vita a lavori dalla forte matericità, dove le figure si perdono in composizioni frammentate: il caos che precede, si spera, una futura quiete.

“Per Rita Ackermann ciò che conta in un’opera d’arte è quel che emerge da sotto la superficie, le sue tracce. Schegge di idee, barlumi di spettri, residui di cose che affiorano e diventano materia delle sue immagini. A illuminarle, o offuscarle parzialmente, l’azione eclissante della pittura, i giochi di luce, le forme risaltate da una colata di colore. L’elemento astratto, latente nelle immagini più figurative, prende il sopravvento” scrive la storica dell’arte Pamela Kort nel catalogo della mostra.

Rita Ackermann, War Drawings, Coming of Age, 2022
  • © Rita Ackermann. Courtesy the artist and Hauser & Wirth

Conforta osservare che, al di là del caos e della distruzione, nelle opere di Rita Ackermann, alla fine, è sempre possibile scorgere uno spiraglio, un frammento, un segno riconoscibile di speranza e armonia, che ci conduca lì da dove tutto è partito e ci permetta al tempo stesso di guardare oltre. Perché, come sostiene l’artista: “Senza radici, è impossibile far crescere qualcosa. Ben venga il caos, la distrazione, la sradicatezza – ma tutto deve essere radicato in un’esistenza precedente. Deve connettersi alla base”.

Rita Ackermann, Tobia Bezzola e Pamela Kort (MASI, 20 marzo 2023)

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