Conclave, film diretto da Edward Berger e basato sull’omonimo libro di Robert Harris, ha un titolo autoesplicativo. Conclave, cum-clavis, chiuso a chiave. L’espressione fu usata per la prima volta nel 1200 per descrivere la procedura attraverso la quale, entro 20 giorni dalla morte di un papa, i cardinali si riuniscono per eleggerne uno nuovo. Il film ci consegna quella chiave; i sigilli vengono spezzati e possiamo entrare, sbirciare dal buco della serratura di qualcosa che è di fatto amministrativo ma che proprio il segreto rende interessante, per i credenti sacro.
Il cast è uno dei punti di forza di Conclave: un Ralph Fiennes (Schindler’s List, Voldemort in Harry Potter e molto altro) incredibile nei panni del decano Thomas Lawrence, un altrettanto bravo Stanley Tucci, gli italiani Isabella Rossellini e Sergio Castellitto più che all’altezza dei rispettivi ruoli.
Il film è esteticamente inappuntabile; girato tra gli studi di Cinecittà e la Regia di Caserta, gioca sul contrasto tra sacro e profano, tra giochi di potere anche piuttosto violenti, ombre drammatiche e luci polverose, caravaggesche. Di questo modo di porre il tema prima ancora di raccontarlo con le dinamiche umane ci si accorge fin dall’inizio, dal momento in cui nel chiostro appare un cumulo di sigarette. Sono lì a causa dei turisti o appartengono agli uomini di fede? Si lascia intendere che siano i secondi, che appaiono tutt’altro che esenti da vizi. C’è un arcivescovo con problemi di alcolismo, e soprattutto il cardinale Goffredo Tedesco (Castellitto), un italo-americano che non disdegna la sigaretta elettronica e che ambisce con prepotenza alla vittoria.
«Nessuno sano di mente vorrebbe il papato», ci dice invece Stanley Tucci, qui cardinale Aldo Bellini. Evitando spoiler, di lui si può dire che gli accade una cosa simile a quella che succedeva al personaggio che lo stesso Tucci interpretava nel Diavolo veste Prada, con grande scorno del pubblico.
Castellitto che interpreta il cardinale che svapa (termine di neoconio accettato da qualche anno dall’Accademia della Crusca) fa piuttosto ridere, riecheggia i contrasti di una certa Roma da Grande Bellezza e fa perdonare l’eccesso assoluto con cui si fa gesticolare il personaggio: è probabile che non esista un solo italiano che muova così tanto le mani mentre parla.
Il cardinale Tedesco (lui, Castellitto) è reazionario, aggressivo e razzista, vuole una chiesa che torni indietro di un secolo almeno. Nel porsi contro di lui avviene un gioco di potere nel quale Bellini (Stanley Tucci) e altri cardinali formulano il programma in contrapposizione al suo. È un lavoro politico, viene detto: «Direi di non menzionare le donne», perché progressisti sì, ma non troppo. Il film è in effetti a nettissima prevalenza maschile, e questo appare come critica alla Chiesa. L’eccezione è un gruppetto di suore tra cui spicca l’interpretazione di un’arcigna, intensa e meravigliosa Isabella Rossellini, dea ex machina sul finale.
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Ma è Ralph Fiennes a portare su di sé l’occhio di bue della narrazione. Essendo il decano preposto ad amministrare il conclave, è attraverso il suo sguardo che ne scopriamo i retroscena. Retroscena che se consistessero in botte da orbi ci stupirebbero di meno. Per tutto il tempo il decano Lawrence sembra modesto e contrito, per poi rivelarsi molto differente in privato. Fino alla fine del film non si riesce a inquadrare se sia la versione cardinalesca della Regina George di Mean Girls (compresa la scena in cui stampa maldicenze, tuttavia vere, sui cardinali e le distribuisce in incognito) o un sant’uomo, e questo è un fiore all’occhiello della sua interpretazione.
Irrompe nella storia il presente e la critica alla Chiesa, e lo fa in modo non scontato: se fosse eletto il cardinale Adeyemi dalla Nigeria sarebbe il primo papa nero, ma molto presto si apprende che il suo è un pensiero estremamente reazionario. È di grande attualità il discorso sui presidenti neri che tuttavia fanno scelte razziste, talvolta guerrafondaie, analogamente per le presidenti donne che minano con violenza i diritti delle altre donne. Parlare di un potenziale papa di questo tipo è quanto di più coraggioso in tal senso.
Il finale sa sbalordire. Riguarda l’arcivescovo di Kabul e il segreto sul suo stato di salute. Il decano Lawrence indaga: l’arcivescovo di Kabul ha operato come missionario in parecchi teatri di guerra, per cui lo spettatore pensa (se ne ha contezza) ai danni provocati dall’uranio impoverito. Danni da uranio impoverito che, va ricordato, hanno a che fare proprio con l’Afghanistan e coinvolgono la popolazione che ci vive e anche molte migliaia di soldati, mandati lì e non protetti dallo Stato, tornati a casa con danni gravissimi. Qualcuno di loro ci ha messo più tempo a combattere in giudizio contro l’Italia - tra i Paesi che non hanno fornito le adeguate protezioni pur sapendo - che contro un tumore. Altri quel tempo non l’hanno avuto. L’arcivescovo di Kabul però non ha danni da uranio impoverito: il tema del film muta e ritorna al riferimento iniziale sulle donne. Espulse dalla storia, espulse dal casting, espulse dalla chiesa: e invece no. Lo scopriamo tramite la sua prenotazione, poi cancellata, di una isterectomia laparoscopica. Cosa succederebbe se il nuovo papa fosse una persona non binaria? Quello che una volta chiamavano ermafrodito. «Sono come Dio mi ha fatto», dice candidamente l’arcivescovo di Kabul. Nel finale di un film che mostra con realismo quanto sanno essere cinici i giochi di potere della curia, vince una visione in effetti piena di fede. La scelta di un finale in cui vince la fede e non il potere è stata operata per evitare attacchi dal Vaticano o è autentica? Purtroppo sembra che il motivo sia il primo. Altrimenti risulta inspiegabile come mai sia stato scelto il pur fenomenale Carlos Dihez per interpretare una persona con dei genitali femminili. È più facile immaginare un papa intersessuale che un attore intersessuale a interpretarlo? Nel 2024, a quanto pare sì.
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