Cinema

George Lucas, un pacifico ribelle

Il padre di Star Wars ha sempre parlato di alleanze ribelli, anche prima di scrivere la sua celebre saga

  • 12 maggio, 12:00
  • 13 maggio, 09:38
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Di: Chiara Fanetti

Se George Lucas non avesse realizzato Star Wars nel 1977 vivremmo in un mondo diverso. Difficile dire cosa sarebbe cambiato, ma l’impatto che ha avuto la storia della famiglia Skywalker è stato talmente globale, intergenerazionale e ramificato che non è possibile credere che la nostra realtà sarebbe esattamente come la conosciamo senza quell’epopea.

Forse dopo American Graffiti (1973) Lucas avrebbe girato altri film simili, tra la commedia e la nostalgia, dove gli Stati Uniti vengono ritratti attraverso la lente della memoria, della giovinezza, di un passato idealizzato fatto di icone pop, nuove mitologie e illusioni d’immortalità. Invece il destino lo ha portato tra le stelle di una galassia lontana lontana, trasformandolo - apparentemente - nel più stabile esponente della rivoluzionaria e tormentata Nuova Hollywood. Un uomo che oggi associamo - come regista, sceneggiatore e produttore - a Indiana Jones, Labyrinth, l’Industrial Light & Magic o addirittura Howard il papero. Un mondo legato soprattutto alla fantasia, popolato da super cattivi e grandi eroi, personaggi umanoidi e magici effetti speciali.

In realtà, lo sappiamo, Star Wars è la sintesi del conflitto interiore, in qualsiasi modo si decida di leggere la saga, in chiave religiosa e politica (in una frase, la lotta tra il bene e il male) o tra psicologia e mitologia (in breve: l’emancipazione dai propri padri). Nei primi lavori di Lucas quest’inquietudine è già presente, e andrebbe tenuta in considerazione anche riguardando i vari Episodi della sua celebre saga. Lo è in modo plateale nel futuro distopico di L’uomo che fuggì dal futuro (1971), dove le persone sono ridotte a numeri e a unità produttive che non possono avere pensieri ed emozioni, allo scopo di sedare qualsiasi forma di contestazione. Un film che è espressione di una fantascienza che ha dei toni difficilmente conciliabili con quelli di Star Wars (riconducibili a quelli dell’avventura), eppure il tema centrale della lotta in THX 1138 (titolo originale) rivive nell’Alleanza Ribelle di Episodio IV - Una nuova speranza.

In modo diverso, il tentativo di ribellarsi - quasi senza rendersene conto - ad un futuro imposto, che vuole contenere, definire, controllare, è presente anche in American Graffiti, un film che racconta, con i toni della commedia, il passaggio all’età adulta di un gruppo di amici negli Stati Uniti del 1962, concentrato in un’unica notte di fine estate.

Per quanto possa sembrare strano, c’è tensione anche in American Graffiti, un’inquietudine sottile che si nasconde dietro gli stacchi musicali e il tono goliardico che assumono le storie dove i protagonisti sono un gruppi di amici. Eppure è lì, in sottofondo, per venire a galla e rivelarsi completamente sul finale, prima dei titoli di coda, con il breve resoconto testuale dove si riassume il futuro dei protagonisti. Una frase per dire che ne è stato di loro dopo la fine della giovinezza, una scelta di regia così netta da essere scambiata per una leggerezza.

Lo sguardo di Lucas alla sua gioventù, alla giovinezza di un’intera nazione, sembra arrivare da molto lontano, non soltanto da dieci anni dopo l’ambientazione del film. Tra il 1973, anno d’uscita della pellicola, e il 1962, momento in cui si svolge la storia, però, cambierà tutto. La guerra in Vietnam, le rivolte giovanili, la rivoluzione dei costumi, il movimento per i diritti civili, l’assassinio di John Fitzgerald Kennedy, quello di Martin Luther King e di Malcom X, lo scandalo Watergate.

Dopo American Graffiti George Lucas diventerà una figura che va oltre quella del regista e dell’autore. Sarà percepito come un imprenditore e un visionario, che ha saputo creare un impero basato, in estrema sintesi, su un sogno, su un’ossessione, sulla convinzione di avere per le mani la storia giusta. Un sopravvissuto, un placido rivoluzionario, che prima della LucasFilm ha fondato con Francis Ford Coppola la casa di produzione American Zoetrope, per ribellarsi al controllo creativo imposto dalle major di Hollywood.

Una prima bozza della sua Alleanza Ribelle.

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